• 18 Maggio 2024 10:22

La parte buona

CHE ASCOLTA E METTE IN PRATICA LA PAROLA DI DIO

Il ritorno del Figlio dell’Uomo. Commento al Vangelo della prima domenica di Avvento (Mt 24,37-44), a cura di Giulio Michelini

Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. 38Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, 39e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. 40Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. 41Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata. 42Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. 43Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. 44Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.

 

L’Avvento e il diluvio

Con il vangelo che inaugura un nuovo tempo di Avvento ci collochiamo all’interno dell’ultimo dei cinque lunghi discorsi di Gesù che scandiscono il vangelo di Matteo, il discorso dei capitoli 24–25, quello riguardante la distruzione del Tempio di Gerusalemme (che il lezionario ci ha presentato da poco), della città e le calamità che accompagnano il ritorno del Figlio dell’Uomo. Per Matteo, si parla anche di “discorso del monte degli Ulivi” (per il fatto che inizia in quel luogo: «Sedutosi poi sul monte degli Ulivi, i suoi discepoli gli si avvicinarono e, in disparte, gli dissero: Dicci quando accadranno queste cose, e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo»: Mt 24,3).

Si tratta di un “discorso escatologico”, sulle cose “ultime”, il quinto e ultimo dei cinque discorsi del vangelo, conosciuto anche – insieme ai passi paralleli di Marco e Luca – come “apocalisse sinottica”. Collocando il discorso sul Monte degli Ulivi, secondo la traccia del vangelo di Marco (cf. 13,3), Matteo ha la possibilità di costruire un’inclusione col primo e principale discorso di Gesù (capitoli 5–7), quello “della montagna”, con il quale aveva inaugurato il suo insegnamento, ma anche con la finale del vangelo, dove il Risorto dirà agli Undici le sue ultime parole (cf. 28,18-20). Da queste si capirà che le cose che devono accadere e che ora Gesù anticipa ai suoi nel presente discorso, non sfuggono dalle mani del Risorto, a cui è stata data «ogni autorità in cielo e sulla terra» (Mt 28,18).

La parola-chiave di questo brano è parousía (tradotta dalla CEI con “venuta”). Solo Matteo, tra gli evangelisti, la usa: si ritrova invece nel corpus paolino e in tre delle lettere cattoliche. Questo termine significa anzitutto presenza, ma poi prende il significato di venire, avvicinarsi, venuta (24,36.39: «la venuta del Figlio dell’Uomo»). Bauer rende l’espressione anche con avvento.

Nelle quattro volte che Matteo usa questa parola nel capitolo 24, significa la venuta, o il ritorno del Messia alla fine della storia. Di questa venuta, nessuno conosce la data. È detto da Gesù al versetto che precede il brano di oggi, 24,36: «Quanto a quel giorno e a quell’ora, però, nessuno lo sa, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre». Quello che si può fare è attendere e prepararsi. Nel Talmud i rabbini insegnano che ci si dovrebbe pentire il giorno prima della propria morte, ma dato che nessuno sa quando la morte verrà, è chiaro che intendono che ci si deve pentire ogni giorno. La parousía del Figlio dell’Uomo svolge la stessa funzione: il fatto che non se ne conosca la data richiede una quotidiana preparazione. Infatti per tutto il vangelo di questa domenica domina una forte indeterminatezza: non si può non mettere questo appuntamento nell’agenda, ma non si sa dove scriverlo: l’unica soluzione è tenerselo bene a mente.

Ma le parole di Gesù ci suggeriscono anche un’altra strada. Le rileggiamo: «Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti, così sarà anche alla venuta del Figlio dell’uomo» (Mt 24,37-39). Secondo un midrash rabbinico, scrive Alberto Mello, nel suo commento a Matteo, «Noè era stato avvisato con molto anticipo del diluvio incombente, in modo da dare ai suoi contemporanei la possibilità di convertirsi e mettersi in salvo»: insomma, l’umanità sarebbe stata messa in guardia dal patriarca (quasi un Giona ante litteram, cosa che il testo della Genesi invece non dice…). Ma questi non si accorsero di nulla; alla lettera: non seppero nulla.

Un’altra pista di lettura. La generazione antidiluviana di cui ai vv. 37-41 era una generazione perversa, perché – sempre secondo la tradizione rabbinica – la terra era stata corrotta da un triplice peccato commesso dagli uomini: la dissoluzione sessuale, l’idolatria e l’omicidio. «Prendevano moglie e prendevano marito» (come si legge in Mt 24,38), comportandosi però immoralmente, scambiandosi le mogli e disperdendo il seme, rifiutandosi di procreare, al punto che anche gli animali ne furono corrotti: ecco la ragione per cui Dio disse a Noè di farsi un’arca (cfr. Gen 6,14), perché trovasse protezione dalle sorgenti che stavano per arrivare dal grande abisso e dalle cateratte del cielo che da lì a poco si sarebbero aperte.

Attraverso questo confronto, è detto da Gesù che la generazione nella quale viene il Figlio dell’uomo non si accorge di quanto sta accadendo, e continua a vivere nel suo peccato. L’unica soluzione è vegliare (cfr. 24,42), non addormentarsi a causa delle pesantezze della vita, restare svegli e pronti, per attendere il giorno in cui verrà il Signore.