• 17 Maggio 2024 7:56

La parte buona

CHE ASCOLTA E METTE IN PRATICA LA PAROLA DI DIO

Il vangelo di Pentecoste (Gv 15,26-27; 16,12-15; rito ambrosiano: Gv 14,15-20), a cura di Giulio Michelini

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio. Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

Il vangelo di questa domenica è tratto dalla sezione del Quarto vangelo che va dal capitolo tredicesimo al diciassettesimo, e che riporta le parole pronunciate da Gesù durante la sua ultima cena. È l’annuncio, che si ripete per ben quattro volte nel discorso (14,16.26; 15,26; 16,7), della venuta dello Spirito Santo, chiamato qui con una parola che ricorre solo in questo vangelo (e nella Prima lettera di Giovanni): “Paraclito”, che significa “colui che è chiamato accanto”.

Si tratta dunque di un avvocato o consolatore che presta soccorso specialmente in caso di giudizio, prima dando testimonianza a Gesù nei confronti del mondo («egli darà testimonianza di me»), e poi difendendo i discepoli, che così, grazie alla sua forza, potranno dare ugualmente testimonianza. Gesù, infatti, avvisa quelli che sono a tavola con lui che essi, e i discepoli che verranno dopo, saranno perseguitati.

Lo Spirito, che il Cristo promette di donare, accorrerà in soccorso a chi è messo alla prova. Per descriverne l’azione, Gesù usa ancora un’altra espressione caratteristica di questo vangelo, «Spirito della verità», che compare per la prima volta in Giovanni 14,17, e richiama la rivelazione compiuta da Dio in Gesù Cristo. Per coloro che sono perseguitati è infatti facile perdere la fiducia, la speranza, e addirittura mettere in discussione la propria fede. Lo Spirito, che guiderà i discepoli «a tutta la verità» (vedi 16,13), conforterà i discepoli e ricorderà loro quanto Gesù ha insegnato, permettendone una comprensione completa, e dando la forza necessaria alla testimonianza.

Lo Spirito della verità, che Gesù ha promesso e che la comunità dei credenti riceve a Pentecoste (come ogni volta che lo invoca) è anche lo Spirito che comunica la verità, ed è una continua rivelazione di Dio nel mondo.

Infatti, ciò che Gesù ha potuto fare nella sua esistenza terrena è stato segnato – per il principio di incarnazione – dal tempo trascorso coi discepoli, ma la comprensione del mistero di Dio continua, e per questo è necessario lo Spirito «della verità». L’impegno per conoscere Dio riguarda tutti, non solo i preti o i teologi o gli studiosi, e si può portare avanti nella lettura orante della Scrittura.

Gesù, sempre durante l’ultima cena, aveva detto ai discepoli che tutto ciò che ha udito dal Padre l’ha fatto conoscere loro, e ancora desidera che sia conosciuto. Come possiamo entrare nel mistero di Dio? La Bibbia – come diceva san Girolamo («L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo») – è un modo privilegiato per incontrare Gesù, e attraverso le sue parole è ancora possibile, anche per noi, conoscere il Padre.

Queste parole si collegano bene alla festa di Pentecoste, una festa ebraica, una delle tre feste che prevedevano per i fedeli maschi adulti un pellegrinaggio a Gerusalemme. Secondo il Deuteronomio, 16,16, “tre volte all’anno ogni tuo maschio si presenterà davanti al Signore tuo Dio, nel luogo che Egli avrà scelto: nella festa degli azzimi, nella festa delle settimane e nella festa delle capanne; nessuno si presenterà davanti al Signore a mani vuote”. La Pentecoste è appunto la festa qui chiamata “delle settimane”, celebrata inizialmente per portare al Signore un dono, quello del raccolto.

Un ulteriore importante significato però era stato aggiunto a quello originario, in epoca intertestamentaria: in quel giorno – e cioè il cinquantesimo giorno (da qui il nome Pentecoste) a partire dalla Pasqua – si ricordava il dono della Legge a Israele. “Poiché Israele nella sua peregrinazione esodale era arrivato al monte Sinai nel terzo mese dopo aver lasciato l’Egitto (Es 19,1), vale a dire dopo pasqua, con l’andar del tempo ciò diede avvio alla celebrazione del patto sinaitico, del dono della Torah, e persino a un rinnovamento annuale di esso, nel terzo mese” (J. Fitzmyer, Atti degli Apostoli).

Cosa accadeva nelle feste di pellegrinaggio? Oltre ad essere un’occasione per recarsi al tempio, esse erano viste dal fedele ebreo come un modo per ricevere lo Spirito Santo. “Gerusalemme – scrive un commento rabbinico al Genesi – è come il pozzo di Giacobbe, che egli trova in un campo, e le tre feste di pellegrinaggio sono i tre greggi che lo circondano. Come le pecore si abbeveravano a quel pozzo d’acqua viva, così anche i figli di Israele che venivano a Gerusalemme tre volte all’anno venivano colmati dallo Spirito divino” (Genesi Rabbah su Gn 29,2-3). Lo Spirito è il dono che nella pagina del vangelo di Giovanni è promesso, e che la cui presenza la Chiesa sperimenta in questo giorno.

 

Rito ambrosiano

(commento pubblicato in www.famigliacristiana.it: Rito Ambrosiano: le letture della S. Messa ogni domenica – Famiglia Cristiana)

La Pentecoste (in ebraico Shavuot, cioè “settimane”, ovvero “festa delle Settimane”) è stata celebrata anche da Gesù, perché era una delle tre feste di pellegrinaggio – insieme a Pasqua e alla festa delle Capanne – a cui gli ebrei maschi adulti erano obbligati. Si trattava, in origine, della festa agricola di ringraziamento per il raccolto, di cui si parla anche nel libro di Rut, ma vari decenni prima di Cristo aveva già assunto un significato legato al dono della Legge: Israele non sarebbe stato completamente libero dalla schiavitù dell’Egitto, fin quando non avesse accolto al Sinai – cinquanta giorni dopo il passaggio del Mar Rosso – il dono dei precetti, il “giogo” della Torà.

Si tratta di un vero e proprio insegnamento anche per noi: la libertà non può essere mai un fine assoluto, perché può farci diventare schiavi di noi stessi! Così diceva san Giovanni Paolo II: «la libertà non è fine a se stessa; essa è autentica solo quando viene posta al servizio della verità, della solidarietà e della pace» (Angelus, 28 gennaio 1996).

Poiché la festa di Pentecoste era la celebrazione della libertà, che si compie però con il dono della Legge al Sinai, nel racconto degli Atti si possono trovare alcuni elementi di quella manifestazione divina: il fragore simile al tuono, il fuoco, e la capacità di parlare lingue straniere (poi formulata dall’esegesi giudaica a commento dell’episodio).

Pentecoste, però, per la comunità dei primi discepoli che si ritrovavano nella stanza al piano superiore della casa, era soprattutto il compimento della promessa di Gesù. Questa idea è importante, perché esprime, da una parte, la fedeltà di Dio, che mantiene quanto ha detto, e dall’altra invita ad avere pazienza: perché si compiano le promesse bisogna attendere quarantanove giorni!

Il vangelo riprende il tema dello Spirito Consolatore, promesso – si diceva – da Gesù nell’ultima cena. Tutta questa parte del discorso di Gesù è tenuta insieme dal tema dell’amore. Lo Spirito è amore, è donato per amore, ed è ricevuto per amore. Il discepolo che ama Gesù dimostra questa unione d’amore osservando i suoi comandamenti (v. 15), e Gesù chiederà al Padre di portare a compimento questo amore con il dono dell’«altro Consolatore» (v. 16b).

Lo Spirito è chiamato qui «l’altro Paraclito» («l’altro Consolatore»): consolerà i discepoli come faceva Gesù, e svolgerà le funzioni di difesa quando questi saranno in pericolo e avranno bisogno di aiuto. Ma è «altro» da Gesù: non prende la carne come il Figlio («la Parola si è fatta carne»; Giovanni 1,14), e non dovrà nemmeno soffrire la morte, che invece viene annunciata dal Signore, anche nella nostra pagina (cf. v. 19).

Se l’Amore di Dio, e il suo Spirito, sono un dono gratuito per ogni uomo, serve ricordare che quel dono è costato la vita di Gesù. Lo Spirito ricevuto nel giorno del battesimo non va mai rattristato («Non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, con il quale foste segnati per il giorno della redenzione»; Efesini 4,30), perché è dallo Spirito che viene la capacità di amare e donare la vita.