• 20 Maggio 2024 7:45

La parte buona

CHE ASCOLTA E METTE IN PRATICA LA PAROLA DI DIO

Commento al vangelo della II domenica del Tempo Ordinario (Gv 1,35-42), a cura di Giulio Michelini

Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.

 

 

Di testimonianza in testimonianza

Prima di passare alla proclamazione continua del Vangelo secondo Marco, anche quest’anno, proprio in questo periodo, e dopo il Battesimo di Gesù, la lettura evangelica odierna si sofferma sulla testimonianza del Battista che indica l’Agnello di Dio.

Subito dopo, nella scena seguente, ecco la vocazione dei primi discepoli secondo il racconto giovanneo. Come è facile da vedere, la versione raccontata dal Vangelo secondo Giovanni differisce dal resoconto dei sinottici. Ciò che la caratterizza è soprattutto la domanda di Gesù a chi oramai lo sta seguendo.

Ma non dimentichiamo il gesto di Giovanni, che si “tira indietro”. Quello che succede col suo gesto è straordinariamente esemplare. Dice di un uomo che non si limita a dare testimonianza con le parole, ma che con i fatti è conseguente a quello che dice. Già prima – nella scena che precede il vangelo di oggi – Giovanni aveva proclamato pubblicamente che Colui che stava passando era l’agnello di Dio. Ed ecco ora quello che fa Giovanni: non si erge a protagonisti della vita dei suoi discepoli, ma diventa strumento a servizio degli altri, strumento capace di additare la via e, poi, di mettersi da parte. La testimonianza è efficace nella misura in cui non è condizionata dalla ricerca della vanagloria: il Battista non porta a sé le persone a lui affidate, ma le conduce a Cristo.

Giovanni è capace di lasciare che i suoi discepoli seguano, d’ora in poi, Gesù. Il Battista non abbandona il suo ministero di predicazione e testimonianza, ma permette che i suoi discepoli, quelli che lo avevano seguito, che aveva preparato con cura, che aveva istruito su come pregare (cf. Lc 11,1) o su come digiunare (cf. Mc 2,18), quelli a cui si era affezionato, quelli che gli davano forse sicurezza, perché lo riconoscevano come la loro guida, ecco, lascia che questi seguano ora un Altro.

Chi ha donato il battesimo – pensiamo per esempio ai genitori che desiderano che i propri figli vengano battezzati – non ha la “proprietà” di chi viene battezzato. Come per i discepoli del Battista, così, il battesimo è solo l’inizio del cammino, è l’inizio di un percorso che si può intraprendere solo in prima persona, seguendo la propria strada; è l’inizio della ricerca di qualcun’Altro.

Gesù vede i discepoli di Giovanni che lo seguono, ed ecco la vocazione dei due. Le prime parole del Signore nel Vangelo secondo Giovanni non sono tanto un invito (come il “Seguitemi”, di Mc 1,17) ma, nello stile del dialogo rabbinico, una domanda: «Chi – che cosa – cercate?». Si trova qui la prima cosa che dovrebbe essere chiesta a ciascuno che si avvicina a Gesù, la domanda che ogni giorno il cristiano dovrebbe porsi.

Le prime parole di Gesù, dicevamo, sono una domanda rivolta a chi vuole seguirlo: il progetto di Dio non si impone dall’esterno, Gesù è il Maestro che si riconosce soprattutto dalle relazioni che instaura, che danno luogo a un libero coinvolgimento personale.

La domanda di Gesù, poi, ha una forza comunicativa e performativa da non esaurire la sua efficacia nell’immediato, ma tale da valicare i confini del tempo e raggiungere il lettore di oggi interrogandolo ancora sul bisogno fondamentale che lo spinge a rivolgersi a Dio coinvolgendolo attivamente attraverso una decisione di vita. Ancora più precisamente la domanda – intesa come artificio comunicativo e interpretata in senso pragmatico – ha in sé una particolare qualità educativa, perché rispetta e valorizza la soggettività dell’altro, e lo coinvolge sollecitandone la libertà.

La domanda di Gesù, ancora, può essere letta in parallelo con il racconto della risurrezione in Gv 20,11-18, perché numerosi sono i punti di contatto tra le due pagine. Il Risorto nel giardino pone a Maria di Magdala una domanda del tutto simile («Chi cerchi?»: 20,15) e anch’ella, come i discepoli, risponde domandando dove riposi il corpo di colui che non si trova nel sepolcro e che poi riconosce chiamandolo a sua volta Maestro, «Rabbunì».

Se le prime parole di Gesù e le prime parole del Risorto sono domande, allora tutto il Quarto vangelo sembra trovarsi racchiuso in questa ricerca che, in fondo, va a definire ogni uomo e ogni giovane come creatura capace di desiderare, come domanda aperta, come portatore di un sogno di felicità e di pienezza di vita… una ricerca il cui oggetto, alla fine, non è una cosa ma una Persona.

Ed ecco che i due giovani rispondo a Gesù, con un’altra domanda: «Rabbì, dove dimori (poû méneis)?». Questa svela da una parte non soltanto la dimensione ordinaria per Israele del rapporto allievo-maestro (i discepoli spesso abitavano con il loro rabbino per apprendere la sapienza dalla sua stessa vita) ma soprattutto una dimensione più profonda; l’avverbio «dove» infatti nel Quarto vangelo, se riferito a Gesù, ha sempre a che fare con la sua identità, con la sua origine, così come il verbo ménō, che è meglio tradurre – come ora la versione CEI opportunamente fa – con «dimorare», piuttosto che “abitare”. È un verbo caratteristico della Scuola giovannea, e dice appunto il dimorare, il restare, il resistere, il rimanere fermo, ed è usato, ad esempio, per dire come lo Spirito discese e rimase su Gesù (Gv 1,32) o come i suoi discepoli devono rimanere in lui (Gv 15,7).

Il modo in cui sono chiamati i primi discepoli dice molto della vocazione cristiana, quella pensata per ogni uomo e ogni donna. La testimonianza portata da Giovanni dà il via ad una interminabile serie di annunci, come in un passa-parola che porta salvezza: Andrea parla col fratello, e non può fare a meno di dire: «Abbiamo incontrato il Messia» (Gv 1,41), e questi parla poi con altri.

È in tale modo che Gesù viene ancora conosciuto (papa Francesco direbbe, nella sua Evangelii gaudium, “per attrazione”), e continua così anche la vita della Chiesa, perché i credenti, come è scritto nella finale del Vangelo di Matteo, ancora oggi sono capaci di “andare, fare discepoli fra tutti i popoli, battezzandoli, e insegnare loro” (cf. Mt 28,19-20).

I discepoli, intanto, hanno trovato la risposta alla loro domanda: sono andati a vedere, sono rimasti con Gesù, e certamente da quell’incontro è scaturito il desiderio di fermarsi ancora con lui.

Infine, la pagina di oggi è stata scelta da papa Francesco come icona di riferimento del Sinodo dei Vescovi sui giovani, del 2018. Di seguito, si può rileggere il documento preparatorio del Sinodo, che riportiamo nella parte che riguarda il nostro testo, e che è centrata sulla figura del “Discepolo amato”.

 

Da: XV ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA, “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, Documento preparatorio

Sulle orme del discepolo amato

Offriamo come ispirazione al percorso che inizia un’icona evangelica: Giovanni, l’apostolo. Nella lettura tradizionale del Quarto Vangelo egli è sia la figura esemplare del giovane che sceglie di seguire Gesù, sia «il discepolo che Gesù amava» (Gv 13,23; 19,26; 21,7).

«Fissando lo sguardo su Gesù che passava, [Giovanni il Battista] disse: “Ecco l’agnello di Dio!”. E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: “Che cosa cercate?”. Gli risposero: “Rabbì – che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?”. Disse loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio» (Gv 1,36-39).

Nella ricerca del senso da dare alla propria vita, due discepoli del Battista si sentono rivolgere da Gesù la domanda penetrante: «Che cercate?». Alla loro replica «Rabbì (che significa maestro), dove abiti?», segue la risposta-invito del Signore: «Venite e vedrete» (vv. 38-39). Gesù li chiama al tempo stesso a un percorso interiore e a una disponibilità a mettersi concretamente in movimento, senza ben sapere dove questo li porterà. Sarà un incontro memorabile, tanto da ricordarne perfino l’ora (v. 39).

Grazie al coraggio di andare e vedere, i discepoli sperimenteranno l’amicizia fedele di Cristo e potranno vivere quotidianamente con Lui, farsi interrogare e ispirare dalle sue parole, farsi colpire e commuovere dai suoi gesti.

Giovanni, in particolare, sarà chiamato a essere testimone della Passione e Resurrezione del suo Maestro. Nell’ultima cena (cfr. Gv 13,21-29), la sua intimità con Lui lo condurrà a reclinare il capo sul petto di Gesù e ad affidarsi alla Sua parola. Nel condurre Simon Pietro presso la casa del sommo sacerdote, affronterà la notte della prova e della solitudine (cfr. Gv 18,13-27). Presso la croce accoglierà il profondo dolore della Madre, cui viene affidato, assumendosi la responsabilità di prendersi cura di lei (cfr. Gv 19,25-27). Nel mattino di Pasqua egli condividerà con Pietro la corsa tumultuosa e piena di speranza verso il sepolcro vuoto (cfr. Gv 20,1-10). Infine, nel corso della straordinaria pesca presso il lago di Tiberiade (cfr. Gv 21,1-14), egli riconoscerà il Risorto e ne darà testimonianza alla comunità.

La figura di Giovanni ci può aiutare a cogliere l’esperienza vocazionale come un processo progressivo di discernimento interiore e di maturazione della fede, che conduce a scoprire la gioia dell’amore e la vita in pienezza nel dono di sé e nella partecipazione all’annuncio della Buona Notizia.