• 13 Maggio 2024 6:33

La parte buona

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La passione di Gesù nei vangeli sinottici

Di seguito presentiamo un estratto dell’articolo di G. Michelini su “La passione di Gesù nei vangeli sinottici. Aggiornamento e bilancio delle recenti ricerche sulla morte di Gesù” (pp. 13-71), dal volume La speranza della croce, curato da Stefano Zeni e Chiara Curzel (EDB 2017), 13-54.

 

Chi rilegge la passione di Gesù nei racconti sinottici vede che ancora oggi si discute, come già all’inizio della ricerca, su alcune questioni riguardanti non soltanto la storicità degli eventi lì narrati, ma la formazione di tali racconti. La prima questione riguarda il passaggio dagli eventi come sono accaduti al racconto che li narra, e la ricerca a riguardo si è soffermata sull’esistenza o meno di una storia primitiva della passione di Gesù, ovvero un’antica narrazione della passione, un “racconto premarciano”, dal quale attinto Marco avrebbe attinto. Anche se ora «praticamente nessuno nega che il vangelo di Marco abbia utilizzato un racconto dell’uccisione di Gesù a lui precedente»[1], in quale relazione si troverebbe questo racconto primitivo con il Vangelo di Pietro, che per Dominic Crossan avrebbe addirittura utilizzato una fonte più antica di quella marciana, e che per Bovon è un documento antico e fondamentale per lo studio delle passioni canoniche? E poi, che relazione si può postulare tra questo o questi racconti precedenti a Marco e il racconto della passione di Giovanni, al quale molti tendono ora ad attribuire maggiore attendibilità storica rispetto ai sinottici?

A questo livello si incontrano non soltanto diversi temi e argomenti degni di essere studiati, ma anche, o forse soprattutto, questioni previe di ordine metodologico, tra le quali emerge quella del ruolo che le tradizioni confluite nei vangeli apocrifi possono avere nella storia della passione e, più in generale, per la ricostruzione della storia di Gesù, e, come già detto, la gesuologia e la cristologia.

Un racconto premarciano della passione?

Per affrontare la questione si può prendere l’avvio da una recente sintesi di uno storico delle origini del cristianesimo, Claudio Gianotto: «La morte violenta di Gesù dovette rappresentare uno shock terribile per i suoi seguaci, che furono costretti a cercare, da un lato, di dare un senso a quell’evento, che deludeva in modo palesemente assurdo le aspettative suscitate dalla vicenda terrena del capo carismatico del movimento; e dall’altro, di ripensare radicalmente il senso di quella stessa vicenda»[2]. Così deve essere iniziata la rilettura della vicenda di Gesù nel suo complesso, e in particolare degli eventi legati alla sua consumazione, con la morte di colui che da alcuni era stato creduto Messia. Tale rilettura – che ha come sua più antica rappresentazione quei testi che esplicitamente parlano del significato salvifico della morte di Gesù, e tra i primi potrebbe esservi 1Cor 15,3 («Cristo morì hyper i nostri peccati») – per quanto riguarda una forma narrativa, secondo alcuni studiosi potrebbe aver avuto ai suoi inizi anche documenti, un “racconto premarciano” poi confluito nella passione del Secondo vangelo, racconto che però, ritiene ad esempio Romano Penna, non doveva ancora attribuire una funzione redentrice alla passione e morte di Gesù[3]. Raymond Brown asseriva la forte probabilità che Marco fosse in continuità con una tradizione orale che veniva predicata sulla morte di Gesù, composta da una sequenza che includeva le parole dell’ultima cena, la consegna di Gesù agli avversari, la morte di Gesù in croce, la sua sepoltura, la risurrezione e le apparizioni: tutti elementi già rintracciabili in testi paolini come 1Cor o 1Tess. Questi elementi dovevano essere in una certa sequenza, la cui forma era data da evidenti collegamenti logici: la decisione di consegnare di Gesù doveva aver avuto luogo prima del suo arresto, l’arresto era avvenuto prima del processo, ecc. Rispetto ai racconti sul ministero pubblico di Gesù, rielaborati variamente dagli evangelisti, gli episodi della passione dovevano essere già collegati tra loro, e non potevano circolare indipendentemente, perché non avrebbero avuto senso fuori da un contesto. Marco quindi avrebbe potuto basarsi su queste tradizioni orali, o già, si diceva, fonti scritte, per redigere la sua passione, oppure, in alternativa, costruirne una senza copiare da nessuna fonte. Ad avviso dello stesso R. Brown, che sembra propendere per una fonte scritta, però, non siamo sicuri che queste sequenze circolassero davvero in forma scritta, e – nel caso ne circolassero più di una – quali fosse più semplice e quale altra più elaborata (dall’immaginazione degli autori, o da una riflessione a partire dalla Scrittura). La conclusione a cui giungeva R. Brown è che un racconto premarciano della passione, se esisteva, non sia comunque ricostruibile (nonostante i tentativi di trentaquattro studiosi le cui ipotesi, tutte divergenti, sono elencate in una appendice al suo studio [4]).

Romano Penna nel suo studio del 1999 su I ritratti originali di Gesù il Cristo [5] accoglieva – rispetto alla possibilità che potesse essere stato Marco a comporre il racconto della passione – la possibilità che invece Marco avesse già ricevuto un tale racconto dalla tradizione, che dovrebbe essere di marca gerosolimitana e con una datazione arcaica. Esegeti come Gerard Rossé arrivavano poco dopo alla stessa conclusione [6]. Questo racconto, secondo un altro sostenitore della stessa tesi, Emilio Salvatore, sarebbe forse databile intorno alla fine degli anni 40–fine anni 50, «si collocherebbe sul piano teologico nello stadio in cui il messianismo di stampo regale-davidico è connesso con la croce, a partire dagli eventi, ma è attestato senza un’interpretazione di tipo salvifico». Solo in una fase successiva, invece, «Marco potrebbe aver rielaborato tale immagine, sviluppando in forma paradossale l’associazione “Messia-sofferenza” come Paolo» [7]. Ma già in una fase antica il racconto sarebbe dotato di una cristologia specifica, quella del giusto sofferente, che traspare dall’uso di alcuni Salmi di lamentazione, come il Sal 22, e da altre riprese intertestuali. Tutti questi testi non sono introdotti da formule di citazione (come invece avverrà, ad es., per la passione di Matteo), ma sono «semplicemente integrati nel discorso del narratore» [8].

Più recentemente anche Adela Yarbro Collins, in un lungo excursus nel suo commentario a Marco del 2007 [9], elenca varie ipotesi su un racconto premarciano della passione, discute in particolare quella di Gerd Theissen (a favore di un racconto premarciano, che a suo avviso spiegherebbe alcune inconsistenze nel racconto di Marco), che però non avalla, e preferisce quella di Wolfgang Reinbold [10], che immagina l’esistenza di un racconto comune a Marco e a Giovanni (e che però a questo punto sarebbe indipendente dai sinottici), ma è anche attratta dall’idea che Giovanni sia dipendente non da un testo di Marco, ma lo sia indirettamente da un vangelo sinottico che avrebbe subito un processo di riolarizzazione, in particolare dei racconti della passione. La Collins, alla fine del suo ragionamento, sembra giungere alla conclusione che Marco per comporre il suo racconto della passione abbia usato una fonte scritta, che però era un “testo di transizione” tra l’orale e lo scritto, che poi sarebbe stato dismesso, al modo in cui i detti della fonte Q sono confluiti in Matteo e Luca. In questo modo, anche le passioni di Matteo e di Luca si sarebbero basate principalmente su Marco, e avrebbero rielaborato la sua versione, ma con dettagli e scene presi o dalla tradizione orale, o che sarebbero frutto della loro opera redazionale. Anche Giovanni, secondo la Collins, potrebbe essersi basato indirettamente sulla passione di Marco, ma nella forma mediata dalla riolarizzazione, modificandola poi secondo le proprie convinzioni teologiche.

François Bovon, partendo da una prospettiva storica, trova tracce di racconti della passione negli Atti degli apostoli, nel cui libro intravvede uno “schema tradizionale di predicazione” per gli ebrei scomponibile in due parti: il rifiuto di Gesù da parte dei leaders religiosi giudaici, e l’azione di Dio che interviene con la risurrezione [11]. Di un altro schema tradizionale sul quale sarebbe poi stata costruita la storia della passione vi sarebbe traccia invece nel vangelo di Marco, nella forma di un “piano di Dio” (cfr. Mc 8,31), che si esprime in quattro tappe: Gesù è consegnato ai leaders giudei, poi ai pagani, poi è messo a morte, e infine risorge dopo tre giorni. Col tempo, lo schema quadripartito viene amplificato attraverso pericopi derivanti da tradizioni indipendenti, fino ad arrivare ad includere anche i riferimenti più antichi alla passione di Gesù, le confessioni di fede paoline, e lo schema presente negli Atti. Questi schemi, secondo Bovon, rispondevano a necessità di tipo liturgico, e la liturgia sarebbe il Sitz im Leben nel quale si formano le passioni evangeliche. Senza poterci inoltrare oltre nella disamina dell’ipotesi di Bovon, si può ricordare, di passaggio, che la nuova edizione del suo lavoro, rispetto a quella del 1974, vede nel Vangelo di Pietro una fonte importante per i racconti della passione, anche perché in origine questo vangelo – che a suo avviso deve considerato con lo stesso valore storico da conferire ai vangeli canonici[12] – doveva contenere l’intero racconto del ministero di Gesù.

Su questo punto si può però obiettare grazie un argomento che si coglie dal fenomeno letterario dei “doppioni”, riguardante il grido di Gesù in Mc 15,34.37, attestato anche nel Vangelo di Pietro, oltre che in Mt 27,46.50 [13]. Il grido di Gesù nel Secondo vangelo rientra, sul piano letterario, tra quei doppioni che permettono di immaginare l’esistenza di un racconto primitivo della passione [14]. L’importanza di questo fenomeno era già stata evidenziata da Romano Penna [15], ma ad esso è stato dedicato il titolo di una monografia [16], e un volume e poi un articolo da parte di Gerard Rossé [17]. Su esso poi si è soffermato ultimamente anche Stefano Zeni [18]. L’interesse su questo versetto viene anche dal fatto che esso è documentato – oltre che in Mt 27,46 – nel Vangelo di Pietro, ma nella forma «Forza mia! Forza! Mi hai abbandonato» (EvPt 19). Il grido di Gesù, quello di abbandono di un morente, sembra affermare «la percezione di una derelizione totale da parte di Dio» [19], uno scandaloso silenzio di Dio che esprime il concetto, secondo Penna, di una passio iusti. Esso, forse proprio per questa ragione, «viene omesso dalle redazioni di Lc e di Gv, che lo sostituiscono con altri versetti del Salmo 22, ma più “positivi” e quindi con significati del tutto diversi» [20]. Lo stesso si può affermare per la versione che del grido viene data nel Vangelo di Pietro, che per Rossé si può spiegare nella tendenza ad attenuare la crudezza del grido di abbandono. Gesù nell’apocrifo infatti non si lamenta per il dolore, ma «si lamenta di sentir venir meno le forze fisiche! Già prima, Luca e Giovanni omettono semplicemente il grido», e la ragione è «l’esigenza della fede di penetrare al di là della cruda realtà per scoprire e illuminare il Mistero d’unità che vi opera, l’amore che sta alla base di tutto e costituisce la gloria nascosta del Figlio incarnato» [21]. Lo stesso parere è condiviso da altri studiosi, come Paul Foster [22]. Si tratta della spiegazione più plausibile, anche secondo Maria Grazia Mara, mentre è da scartare quella per cui EvPt 19 sarebbe una «traduzione extracanonica dell’Urevangelium» [23]. Il Vangelo di Pietro, che presenta a riguardo della morte di Gesù una visione gnostica, ed è databile nel II sec. [24], non sembra utile per comprendere il senso del testo marciano (e ciò sembra smentire, tra l’altro, il fatto che i vangeli apocrifi non siano stati presi nella dovuta considerazione a causa di «un pregiudizio duro a morire» [25]).

Ma se esisteva un racconto pre-marciano della passione, è oggetto di discussioni tra esegeti e storici il modo in cui questo è stato rielaborato dai sinottici. Evidentemente, esso non era l’unica fonte sulla passione di Gesù, e ciò crea delle complicazioni nell’interpretazione delle vicende narrate nelle passioni. È oramai da mettere da parte la teoria di Crossan su un “vangelo della croce” [26], che sarebbe poi confluito nel Vangelo di Pietro, ipotesi che ha impegnato anche troppo quegli studiosi che si sono occupati di smentirla e altri che non hanno comunque potuto fare a meno di confrontarsi con essa [27], e forse è preferibile pensare ad un racconto precedente a Marco, e da questi utilizzato, ma le cui tracce non sono più visibili, al modo in cui la fonte Q è ormai sfusa nei vangeli di Matteo e Luca.

E il passaggio da Marco agli altri sinottici? Ultimamente Mauro Pesce e Adriana Destro, nel loro volume sulla morte di Gesù [28], non solo con l’ausilio delle metodologie bibliche, ma anche a partire da un’attenzione antropologica al testo, e grazie alla sistematica valorizzazione delle divergenze tra i racconti evangelici, hanno studiato le linee di trasmissione di informazioni sulla passione di Gesù. Partendo dall’assunto che divergenze e contraddizioni tra i testi implicano che gli autori avessero informazioni diverse e indipendenti (e, dunque, questi testi non sono semplicemente differenti a ragione di rielaborazioni teologiche o di intenzioni differenti da parte degli evangelisti), sono giunti alla conclusione che le memorie su Gesù sono state tramandate in due aree geografiche distinte, dove si trovavano due arcipelaghi o costellazioni di gruppi con strategie e concezioni: un’area galilaica, a cui risalirebbero Marco e Matteo, e una legata alla Giudea e a Gerusalemme, da cui i racconti di Luca, Atti e il capitolo ventesimo del vangelo di Giovanni. Inoltre, a loro avviso, nessuno dei seguaci di Gesù aveva una conoscenza completa della vita, delle azioni e del messaggio di Gesù, ed è per questo motivo che anche gli autori dei vangeli ne ignoravano molti aspetti.

Destro e Pesce nel loro volume Il racconto e la scrittura [29] non solo prendono in considerazioni ipotetiche fonti del vangelo di Marco, ma anche quelle speciali di Luca e di Matteo, le fonti di Giovanni e quelle degli apocrifi Vangelo di Tommaso, Vangelo di Pietro, e anche altre fonti. Ma se questo vale per i racconti dei vangeli in generale, che cosa accade a riguardo dei racconti della passione? Scrivono:

Matteo e Luca non potevano avere come fonte la collezione Q perché in essa non è contenuta alcuna notizia dell’arresto, del processo e della crocifissione. Il fatto è che, nei racconti della passione, cinque vangeli (Marco, Luca, Matteo, Giovanni e Pietro) presentano notevoli differenze […]. La passione in sostanza costituisce un caso a parte rispetto al resto delle narrazioni evangeliche. I principali problemi sono due: quanti racconti della passione esistevano prima della redazione dei vangeli? A quali fonti, scritte e/o orali, i singoli evangelisti hanno attinto gli elementi narrativi che ciascuno di loro presenta in modo esclusivo (ad esempio, il processo di Gesù di fronte a Erode in Luca, il sigillo della tomba da parte di sorveglianti in Matteo, il dialogo tra Gesù e Pilato in Giovanni, ecc.). Qui il primo problema è se Matteo e Luca abbiano conosciuto non solo il racconto di Marco nella forma attuale o in una precedente, ma anche se abbiano avuto altri racconti a disposizione e informazioni orali particolari [30].

I due studiosi – attraverso quello che definiscono “metodo di rinvenimento delle tracce storiche involontarie” [31] – giungono alla conclusione che Marco da un lato e Giovanni dall’altro avevano certamente informazioni differenti, che le ragioni addotte per l’esistenza di un racconto comune della passione non sono decisive, e che almeno in un punto fondamentale l’autore del vangelo di Giovanni ha voluto correggere in modo sostanziale la versione dei fatti che trovava o in Marco o nelle fonti utilizzate da Marco [32]. All’interno del sistema presentato da Destro e Pesce non manca l’interpretazione dei vaticinia ex eventu – di cui si dirà appena più sotto. Questi, a parere degli studiosi, sono redazionali, ovvero uno dei tentativi per trovare un senso al trauma della morte del Messia, che, dunque, sarebbe stata imprevista, anche da Gesù stesso. Ad avviso di Destro e Pesce, queste previsioni infatti contraddicono diversi elementi presenti altrove nei vangeli.

Due recenti ricerche meritano di essere segnalate. La prima, di Jonathan Bourgel, che vede la nascita di un racconto premarciano alla vigilia della Guerra giudaica, negli anni ’60, col quale l’autore di tale narrazione avrebbe inteso accentuare la responsabilità del Sommo sacerdozio nel processo a Gesù. Non tutti gli argomenti portati dallo studioso però sembrano convincenti [33]. La seconda ricerca, di Matthias Klinghardt, richiede maggiore attenzione. La questione di un racconto premarciano della passione, in realtà, è solo una piccola parte di una complessa e articolata trattazione sulle origini della tradizione evangelica, che parte dal presupposto del primato di Marcione sugli altri vangeli. La tesi dello studioso di Dresda – già presentata in un articolo del 2008 [34], e che ha trovato la sua forma completa in due volumi pubblicati nel 2015 [35] – è che un vangelo conosciuto da Marcione (Mcn) preceda quello di Luca[36], e che Luca nella sua forma finale sia l’ultimo dei vangeli canonici (Mc dipenderebbe solo dal vangelo che Mcn usa, mentre Mt dipenderebbe da Mc e Mcn, e Gv da Mcn Mc e Mt; Lc conoscerebbe invece tutti i vangeli, e, come detto, Mcn). La tesi sul primato di Mcn non è nuova, fu formulata da Adolf von Harnack, ma venne poi messa da parte per l’emergere dell’ipotesi delle due fonti e di Q. Nel primo volume di Klinghardt, in un capitolo dedicato alla questione di un racconto primitivo della passione, si afferma che non vi è alcun bisogno di un documento premarciano: tutto si giocherebbe piuttosto sulle relazioni tra i vangeli, al loro interno, perché non esiste nemmeno una fonte “Q”.

Una prima impressione su questi ultimi sviluppi è che nonostante i buoni argomenti presentati per motivare l’esistenza di un racconto premarciano della passione, ora si debba necessariamente fare i conti con l’ipotesi di un vangelo usato da Marcione, poi confluito in Lc e negli altri vangeli canonici. Se gli argomenti che Klinghardt porta a sostegno della sua tesi devono essere presi seriamente in considerazione, la relazione tra il vangelo di Marcione, i sinottici e Giovanni è però una questione molto complicata che difficilmente potrà giungere presto a una soluzione definitiva. Non siamo nemmeno sicuri che questo lavoro di ricostruzione del vangelo di Marcione, possibile solo attraverso le citazioni (e retro-traduzioni) soprattutto di Tertulliano, Epifanio, e il Dialogo di Adamanzio, porti a dei risultati: chi, indipendentemente da Klinghardt, ha ricostruito il vangelo di Mcn su cui avrebbe lavorato Luca, come Dieter T. Roth [37], non arriva esattamente allo stesso testo. In attesa di argomenti più solidi per affermare l’assenza di un documento premarciano della passione, rimangono validi gli argomenti, come quello da noi riportato sopra trattando del grido di Gesù in Mc 15,34-35, per postularne l’esistenza.

 

[1] A. Destro – M. Pesce, Il racconto e la scrittura. Introduzione alla lettura dei vangeli, Carocci editore, Roma 2014, 43.

[2] C. Gianotto, «“Morto per i nostri peccati secondo le Scritture” (1Cor 15,3». All’origine dell’interpretazione della morte di Gesù come evento salvifico, in M.B. Durante Mangoni – D. Garibba – M. Vitelli (edd.), Gesù e la sua storia. Percorsi sulle origini del cristianesimo, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2015, 101-111; 101.

[3] Cfr. R. Penna, «Cristologia senza morte redentrice. Un filone di pensiero del giudeo-cristianesimo più antico», in G. Filoramo – C. Gianotto (ed.), Verus Israel. Nuove prospettive sul giudeocristianesimo. Atti del Colloquio di Torino (4-5 novembre 1999), Paideia, Brescia 2001, 68-94.

[4] Cfr. R. Brown, La morte del Messia, cit., 77-82, e l’appendice nello stesso volume, di Marion L. Soards, alle pp. 1688-1722.

[5] R. Penna, I ritratti originali di Gesù il Cristo. Inizi e sviluppi della cristologia neotestamentaria. II. Gli sviluppi, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1999, 14-26.

[6] Secondo G. Rossé, Il Vangelo di Luca. Commento esegetico e teologico, Città Nuova, Roma 2001, 823, anche se non si può giungere a conclusioni definitive «possiamo tuttavia pensare che l’evangelista Marco non sia il creatore del racconto della passione», ed è possibile motivare questa posizione dal punto di vista letterario, redazionale, e per il fatto che per esigenze di catechesi, culto, missionarie o polemiche, l’evento della morte di Gesù deve aver ricevuto molto presto una forma narrativa.

[7] E. Salvatore, «Il messianismo di Gesù: immagini pre-kerigmatiche», cit., 131.

[8] R. Penna, I ritratti originali di Gesù il Cristo, cit., 23.

[9] A.Y. Collins, Mark. A Commentary, Fortress Press, Minneapolis, MN 2007, 620-638; sempre di A. Yarbro Collins, «Mark’s Interpretation of the Death of Jesus», Journal of Biblical Literature 128 (2009) 545-554.

[10] Cfr. A.Y. Collins, Mark, cit., 624.

[11] F. Bovon, The Last Days of Jesus, cit., 6.

[12] Cfr. F. Bovon, The Last Days of Jesus, cit., 15.

[13] Per la questione del grido di Gesù in Mt 27 è stata proposta una soluzione in G. Michelini, «The Gospel of Matthew and the Gospel of John: Intertextual Connections in three Case Studies (Matt 27:49 // John 19:34; Matt 27:55-56 // John 19:25-27; Matt 5:32 // John 7:53–8:11)» (in corso di pubblicazione).

[14] Cfr. G. Rossé, Maledetto l’appeso al legno. Lo scandalo della croce in Paolo e in Marco, Città Nuova, Roma 2006, 65.

[15] R. Penna, I ritratti originali di Gesù il Cristo, cit., 23-26.

[16] F. De Carlo, “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, cit.

[17] Rossé, Il grido di Gesù; Id., «Il grido di Gesù in croce», Sophia 1 (2008) 47-60.

[18] S. Zeni, Il grido nel vangelo di Marco: analisi esegetico-teologica di un motivo narrativo, Pontificia Università Gregoriana, Roma 2011.

[19] R. Penna, I ritratti originali di Gesù il Cristo, cit., 25.

[20] Ibid., n. 56.

[21] G. Rossé, Maledetto l’appeso al legno, cit., 63-64.

[22] «The cry “My power, the power, you have left me” (Gos. Pet. 5.19) is the author’s attempt to modify the problematic sense of God forsakenness communicated by Jesus in the form of the cry of dereliction as it is presented in the Matthean and Markan accounts (Matt 27.46; Mk 15.34). Rather, it simply is intended as announcing the moment of death as the life-force leaves the now dead Jesus»; P. Foster, The Gospel of Peter. Introduction, Critical Edition and Commentary, Brill, Leiden – Boston 2010, 165; 324-329.

[23] M.G. Mara, Il Vangelo di Pietro. Introduzione, versione, commento, EDB, Bologna 2003, 71.

[24] Per questa datazione anche T.P. Henderson, The Gospel of Peter and Early Christian Apologetics. Rewriting the Story of Jesus’ Death, Burial, and Resurrection, Mohr Siebeck, Tübingen 2011.

[25] E. Norelli, «Considerazioni di metodo sull’uso delle fonti per la ricostruzione della figura di Gesù», in C. Gianotto – E. Norelli – M. Pesce – E. Prinzivalli (edd.), L’enigma Gesù. Fonti e metodi della ricerca storica, Carocci, Roma 2008, 19-67, 33. Da parte del sottoscritto, per quanto si è potuto, nel commentare il vangelo di Matteo si è cercato di dare voce ad un testo, lo Even Bohan, forse una forma di un vangelo di Matteo ebraico, che se non può essere provato essere antica, almeno presenta una immagine del testo matteano in luce diversa; cfr. G. Michelini, Matteo. Traduzione, introduzione e commento, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2013.

[26] J.D. Crossan, The Cross That Spoke. The Origins of the Passion Narratives, Harper & Row, San Francisco 1988.

[27] «Crossan’s work proved to be a harbinger of ideas that are still being pursued by certain scholars in relation to the Gospel of Peter. The creative impetus of Crossan’s work should not be under-emphasized, even for those who disagree with his major theses. Current work on the Gospel of Peter is still shaped in a large way in response to Crossan’s theories»; P. Foster, The Gospel of Peter. Introduction, Critical Edition and Commentary, Brill, Leiden – Boston 2010, 35.

[28] A. Destro – M. Pesce, La morte di Gesù. Indagine su un mistero, Rizzoli, Milano 2014.

[29] A. Destro – M. Pesce, Il racconto e la scrittura. Introduzione alla lettura dei vangeli, Carocci, Roma 2014.

[30] A. Destro – M. Pesce, Il racconto e la scrittura, cit., 38.

[31] Cfr. E. Norelli, «Enrico Norelli e Emanuela Prinzivalli discutono il libro di Adriana Destro e Mauro Pesce, La morte di Gesù. Indagine su un mistero, Milano, Rizzoli, 2014», Annali di Storia dell’Esegesi 32 (2015) 221-237; 235.

[32] La tesi – già presentata al SBL Annual Meeting di Chicago, il 17 novembre 2012, verrà ripresa ora in un capitolo di una collettanea, intitolato «Divergent Lines of Transmisssion: The Passion Narratives in Mark and John».

[33] Cfr. J. Bourgel, «Les récits synoptiques de la Passion préservent-ils une couche narrative composée à la veille de la Grande Révolte Juive?», New Testament Studies 58 (2012) 503-521. Superficiale e non supportata dalla bibliografia recente sull’argomento, tra l’altro, è la trattazione della figura di Barabba in Mt 27, per la quale si può vedere G. Michelini, Il sangue dell’alleanza e la salvezza dei peccatori, cit., 293-391, o ancora, R.E. Moses, «Jesus Barabbas, a Nominal Messiah? Text and History in Matthew 27.16-17», New Testament Studies 58 (2012) 43-56.

[34] M. Klinghardt, «The Marcionite Gospel and the Synoptic Problem: A New Suggestion», Novum Testamentum 50 (2008) 1-27.

[35] M. Klinghardt, Das älteste Evangelium und die Enstehung der kanonischen Evangelien, I. Untersuchung; II. Rekonstruktion, Übersetzung, Varianten, TANZ 60/I.II, Francke Verlag, Tübingen 2015.

[36] Una tesi simile, ma differente in un punto sostanziale, è quella di M. Vinzent, Marcion and the Dating of the Synoptic Gospels, Studia Patristica Supplement 2, Peeters, Louven 2014, per il quale sarebbe Marcione stesso l’autore del vangelo più antico che precede Luca.

[37] D.T. Roth, The Text of Marcion’s Gospel, Brill, Leiden – Boston 2015.