
La Trasfigurazione tra BIBBIA e ARTE - Un contributo di Micaela Soranzo
ICONOGRAFIA DELLA TRASFIGURAZIONE
Nella Chiesa orientale la Trasfigurazione o ‘Metamorfosi’ di Cristo si afferma a partire dal VI sec.; appare nelle 12 grandi feste ed ha un vastissimo sviluppo. In Occidente, invece, la festa della Trasfigurazione è attestata per la prima volta in Spagna nel IX sec., sostenuta dall’ordine cluniacense, ma si deve attendere la metà del XV sec. perché venga ufficializzata. Infatti, nel 1456 Papa Callisto III decreta che la festa della Trasfigurazione sia sempre celebrata il 6 agosto per commemorare la vittoria della Cristianità sui Turchi.
Da un punto di vista iconografico la Trasfigurazione va classificata nel ciclo della Glorificazione di Cristo, prima dell’Ascensione, della quale è una sorta di anticipazione e con la quale viene spesso confusa. La Trasfigurazione è comune a tutti e tre i vangeli sinottici ed è presentata in modo pressoché identico (Mt.17,1-13; Mc. 9,2-18; Lc. 9,28-36). Gli evangelisti sono anche concordi nel riportare la sequenza degli episodi che precedono il racconto, e cioè la confessione di Pietro a Cesarea e il primo annuncio della Passione, morte e risurrezione a cui segue, appunto, la Trasfigurazione. Matteo e Marco, però, subito dopo questa pericope aggiungono un ulteriore annuncio della passione. La Trasfigurazione segna il culmine della vita pubblica di Gesù che, accompagnato da Pietro, Giacomo e Giovanni, gli stessi tre che si addormenteranno al momento della cattura, sale sul monte e cambia d’aspetto: il volto splende come il sole e la veste appare bianca come la neve. Appare in pendant con la ’preghiera nell’Orto degli olivi’; in entrambi i casi, infatti, Gesù rimane con i tre apostoli preferiti per pregare con loro in disparte e sul Tabor, come nel Getsemani, i discepoli si addormentano mentre il Maestro si intrattiene con Dio. Le due scene sono parallele, con la sola differenza che l’una appartiene al ciclo della passione e l’altra al ciclo della glorificazione. Per Agostino e Tommaso la Trasfigurazione è una teofania come il Battesimo, una manifestazione della Trinità divina: infatti la voce del Padre che esce dalla nuvola, in Marco e Luca, proclama Gesù come Figlio di Dio; il Padre è generalmente rappresentato da una mano, mentre la nuvola luminosa che circonda il Cristo è simbolo dello Spirito Santo.
Nell’organizzare la scena, Matteo segue la sua fonte, il vangelo di Marco, ma subito aggiunge che non solo le vesti di Gesù diventano candide come la luce, ma anche il suo volto brilla come il sole, mentre Luca in 9,29 scrive invece che “il suo volto cambiò d’aspetto”.
L’episodio è ricalcato sul modello dell’ascesa di Mosè al Sinai (Es.24,9) e questa filiazione è dichiarata dal fatto che ai lati del Salvatore appaiono Mosè ed Elia, rappresentanti della Legge e dei Profeti. Il luogo non è nemmeno specificato: si parla solo di una ‘montagna alta’, che dal IV sec. è identificata con il Tabor.
Il soggetto della Trasfigurazione è presente nell'arte sia orientale che occidentale. Numerose sono le icone bizantine e in Oriente, come per altri episodi della vita di Cristo, lo schema iconografico fu fissato nei laboratori della corte imperiale di Costantinopoli e fu fonte di ispirazione per i pittori dei monasteri: nel mosaico del Monastero di Santa Caterina sul Sinai. Cristo è smaterializzato, spiritualizzato; per un istante diventa una luminosità sovrumana, senza peso, che i mistici chiamano corpus gloriosum; è con vesti bianche in un’aureola ogivale e sette raggi partono da lui.
Gli effetti di trasparenza possono essere resi dalla pittura, ma la scultura non si presta a ciò e pertanto anche gli scultori romanici e gotici hanno molto raramente osato trattare questo tema: tra gli esempi più conosciuti vi è il timpano de La Charitè-sur-Loire.
Nel Medioevo vi sono due modi per raffigurare il corpo ‘disincarnato’ di Cristo: l’uso del nimbo e l’uso di vesti dorate, mentre nel Rinascimento si arriva a una contaminazione tra il tema della Trasfigurazione e quello della Resurrezione e dell’Ascensione.
Quanto alla raffigurazione degli altri cinque personaggi, Mosè ed Elia sono generalmente rappresentati a mezzo busto ed illuminati dai raggi emanati da Cristo. Alla fine del Medioevo Mosè è rappresentato con corna luminose sul capo. Per quanto riguarda gli apostoli, Matteo insiste soprattutto su un dettaglio, che solo il Primo vangelo ci trasmette, quello della reazione di Pietro, Giacomo e Giovanni, ai vv. 6-7; anche se già Marco accenna alla paura dei tre spettatori (Mc.9,6), dobbiamo ricordare però che per Matteo la paura non nasce dall’aver visto qualcosa, ma dall’aver ascoltato la voce di Dio. I tre apostoli, bruscamente risvegliati, appaiono abbagliati dalla luce che emana dall’apparizione e si stendono per terra. Compaiono solitamente nell’atteggiamento della prostratio; Giacomo e Giovanni talvolta si proteggono gli occhi con le mani, solo Pietro osa, dopo un certo tempo, alzare lo sguardo verso il Redentore: per questo riporta l’episodio nella sua seconda lettera, aggiungendo un ricordo personale ai vangeli, e si definisce “testimone oculare della sua grandezza” (2Pt 1,16). Inoltre Pietro ha l’ardore di proporre al Signore di montare tre capanne.
Nell’evoluzione storica del tema si possono distinguere tre fasi: 1. La Trasfigurazione simbolica; 2. Cristo in piedi sulla montagna; 3. Cristo con le mani alzate che scende dall’alto.
Per quanto riguarda la Trasfigurazione simbolica l’esempio più famoso e unico è quello del mosaico del catino absidale di S.Apollinare in Classe a Ravenna (VI sec.), dove Cristo compare in un medaglione al centro di una croce gemmata, inscritta in un campo di stelle; i tre apostoli sono simboleggiati da tre agnelli su un prato, dove alberi, fiori e uccelli indicano il Paradiso; Elia e Mosè emergono a mezzo busto dalle nubi; sopra la croce è scritto IXTHYS, ai lati ALPHA e OMEGA, e sotto SALUS MUNDI. Al vertice della conca absidale c’è la Mano: è la Voce del Padre, che addita il Figlio, dicendo: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». La Mano-Voce «scende dal cielo» (2 Pt 1,18) ,che il mosaico identifica con la Nube: «e dalla nube uscì una voce...» (Mc 9,7; Lc 9,35). Sotto la Nube è il Volto di Cristo: l’artista ha interpretato il testo «il suo volto brillò come il sole» ponendo degli emblemi quali le stelle d'oro della Croce e le perle disseminate dal giro intorno al Volto. Il monte è proiettato nelle rocce allineate nel campo inferiore, dove si possono individuare pietre di basalto e granito rosso. Il basalto sarebbe roccia narrativa della Terra Promessa, mentre si ritiene che il granito caratterizzasse il Sinai e l'Oreb, il monte di Mosè (Es.19,34) e il monte di Elia (1Re 19).
Nel Battistero di S.Giovanni in Fonte a Napoli, fulcro della composizione è la cupola, dove è rappresentato un cielo punteggiato da stelle d'oro, bianche e blu, a otto raggi, di ineguale grandezza, che fa da sfondo al “Chrismon”, simbolo del Cristo glorioso, con le lettere alfa ed omega pendenti dalle braccia. Al di sopra della croce compare la mano di Dio che stringe una corona d’alloro, immagine della resurrezione, confermata dalla presenza della fenice, mitico uccello che si credeva immortale perchè rinasceva dalle proprie ceneri, e dalle palme (φοῖνιξ= fenice e palma) Lo sfondo presenta una tonalità predominante di blu-turchese e verde, con parti in oro. La scena della fenice non può non richiamare il mistero della trasfigurazione: accanto all’uccello stanno, come Mosè ed Elia, due magnifici uccelli; alla contemplazione di questa scena sembrano chiamati altri due uccelli accostati l’uno al cesto e l’altro al vaso ansato; questi sono volti verso la fenice e i due uccelli che la affiancano: il dubbio sull’interpretazione nasce dal fatto che gli apostoli erano tre e non due, ma si pensa che il numero sia volutamente incompleto, per essere perfezionato da ogni catecumeno.
Nell’iconografia di Cristo in piedi sulla montagna, generalmente il Salvatore è circondato da un’aureola ovaleggiante o da una mandorla. Questo è il tipo che si imporrà in occidente fino al XIV sec. con innumerevoli esempi a partire dai mosaici del monastero di S.Caterina sul Sinai (VI sec.) dove Cristo trasfigurato è con vesti bianche in un’aureola ogivale e 7 raggi partono da lui.

Seguono, poi, i mosaici dell’arco trionfale dei S.S.Nereo e Achilleo a Roma (IX sec.), del duomo di Monreale e della Cappella Palatina, la vetrata della Basilica superiore di Assisi (XIII sec.), fino al monumentale mosaico di Marko Ivan Rupnik realizzato nel 2002 a Milano nella chiesa dei Santi Giacomo e Giovanni. Numerosissime sono anche le tele, dalla Trasfigurazione del Beato Angelico, di Raffaello, Perugino, Bellini, Lorenzo Lotto, Tiziano fino all’opera recente di Sieger Koeder.
Nella Trasfigurazione del Beato Angelico la figura di Cristo si erge maestosa al centro della scena sopra un'altura e spalancando le braccia, un gesto che preannuncia la Crocefissione, si staglia, bianco su bianco, entro una raggiera luminosa, che abbaglia gli astanti. In basso si trovano i tre apostoli, Pietro, Giacomo (di spalle) e Giovanni: il primo fa un gesto per coprirsi gli occhi, Giacomo è in una posa carica di stupore, Giovanni, invece, si inginocchia e alza le mani con profonda reverenza. Sotto le braccia di Cristo si trovano le teste di Mosé e di Elia; ai lati si trovano, infine, la Madonna e san Domenico: quest'ultimo fa da testimone alla scena e la attualizza inquadrandola nella gamma dei principi dell'Ordine.
Per Giovanni Bellini tutta la composizione è concepita secondo un moto ascendente, diviso dagli strati rocciosi, che culmina nella figura biancovestita di Cristo, mentre nella tela di Lorenzo Lotto sul culmine della collinetta domina la figura di Cristo investita dai raggi solari che squarciano il cielo. Ai lati di Cristo si trovano, come di consueto, le apparizioni dei profeti Mosè ed Elia, che confermano l'avverarsi delle loro profezie. In basso i tre apostoli che assistono alla scena appaiono accecati dalla visione cercando di ripararsi gli occhi con le mani.
Andrea Previtali sconvolge la tipica iconografia, poichè Gesù, benché abbigliato con la veste bianca, qui appare da solo su uno splendido paesaggio di campagna, che si perde fino al mare e che vediamo a sinistra, solcato da imbarcazioni. Alle spalle di Gesù un bosco rigoglioso è dominato dalla presenza dello Spirito Santo, inviato direttamente dal cielo e identificato con i raggi dorati. I tre discepoli, sono visibili in lontananza e non si distinguono, Mosè ed Elia sono assenti e la Voce di Dio Padre è rappresentata da un cartiglio.
L’immagine di Cristo con le mani alzate che scende dall’alto è un modello di origine bizantina, che presenta la contaminazione con i temi della Resurrezione e dell’Ascensione. Tale tipo si impone a fatica, perché il secondo schema persiste; tra gli esempi più notevoli annovera le opere di Pietro Perugino, che esegue l’affresco della Trasfigurazione tra il 1498 e il 1500 per il Collegio del Cambio, dov'è tuttora ubicata. Il dipinto, articolato su due registri paralleli, raffigura l'episodio ambientato sul Tabor, attualizzandolo in un paesaggio umbro, fatto di colline ed esili alberi che sfumano in lontananza. Nel registro superiore vi è Gesù trasfigurato, che indossa delle vesti bianche con la trasparenza e la bellezza della luce; infatti, la sua figura si staglia, bianco su bianco, entro una mandorla luminosa, circondata da angeli cherubini e serafini, che abbaglia gli astanti: è il centro di tutta la struttura compositiva, l'inizio e la fine d’ogni cosa. Le sue braccia aperte preannunciano la croce; l'artista, infatti, evoca contemporaneamente la morte del Salvatore e la sua vita immortale svelata dalla trasfigurazione. Nel registro inferiore sono raffigurati i tre apostoli storditi dall'evento, folgorati dalla splendida visione, che esprimono in modi differenti le loro emozioni.
Nella Pala del Perugino conservata nella Galleria nazionale dell'Umbria a Perugia, lo schema della composizione è importato su due registri paralleli quasi non comunicanti, con il Cristo che si trasfigura entro una mandorla di luce tra cherubini e serafini, i profeti Mosé ed Elia, mentre in basso i tre apostoli assistono stupefatti all'apparizione. Si tratta di uno schema ampiamente replicato nel repertorio dell'artista. Giovanni Bellini, invece, (1479 museo di Capodimonte) pone accanto a Cristo i due profeti Elia e Mosè, che hanno in mano dei cartigli con scritte in ebraico. In fondo due edifici riproducono il Mausoleo di Teodorico e il campanile della Basilica di Sant'Apollinare in Classe a Ravenna, mentre a destra, sullo sfondo, dietro al grande albero in primo piano, sono presenti due figure umane di cui una raffigura un musulmano con il turbante bianco sul capo; esse stanno conversando e sembrano ignare dell'evento divino che si sta compiendo.
Di rado è rappresentato nell’arte occidentale il momento immediatamente successivo alla Trasfigurazione, quando Gesù, sceso dal monte, si intrattiene con i tre apostoli e raccomanda loro di non raccontare ciò che hanno visto.

In Raffaello e in Rubens la scena si complica con l’aggiunta degli altri nove apostoli che, mentre attendono Cristo ai piedi del monte, si sforzano invano di guarire un giovane epilettico: uno stratagemma per correggere il difficile impianto compositivo a due gruppi di tre figure sovrapposti in verticale. La pala di Raffaello accosta per la prima volta due episodi trattati nel Vangelo secondo Matteo: in alto la Trasfigurazione su una collinetta, in basso i restanti apostoli che incontrano il fanciullo ossesso, con gli occhi sbiechi e circondato dai parenti, che sarà miracolosamente guarito da Gesù quando scende dal Tabor. In alto a sinistra si affacciano poi i santi Felicissimo e Agapito, la cui festa si celebrava il 6 agosto, giorno anche della solennità della Trasfigurazione: si tratta quindi di un inserto legato a un significato liturgico La nube che lo circonda sembra spirare un forte vento che agita le vesti dei profeti e schiaccia i tre apostoli sulla piattaforma montuosa, mentre in basso una luce cruda e incidente, alternata a ombre profonde, rivela un concitato protendersi di braccia e mani, col fulcro visivo spostato a destra, sulla figura dell'ossesso
Marko Ivan Rupnik rappresenta più volte questo tema. Nel 2002 nella Chiesa dei Santi Giacomo e Giovanni a Milano. Cristo nelle vesti bianche rigonfie e mosse dallo Spirito si trova in una mandorla blu; alla sua sinistra c’è Giovanni, con la mano sul petto, nell’antico gesto che indica la contemplazione e sopra vediamo la mano teofanica di Dio Padre.
Nella Basilica del S.Rosario a Lourdes (2007), Rupnik rappresenta Elia è con una pergamena e Mosè con le tavole della legge. Sono due figure più grandi di quelle dei tre apostoli sotto, come se si volesse sottolineare che, senza l’Antico Testamento, non c’è il Nuovo, ossia che l’Antico Testamento contiene le prefigurazioni della manifestazione della luce del Nuovo Testamento.
Nel 2008 nella sala capitolare di S.Maria dell’Almudena a Madrid volutamente mancano gli apostoli, perché questi dovrebbero trovarsi sotto la scena, dove è collocato il tavolo a cui siedono i quattro vescovi di Madrid, che sono dunque i discendenti degli apostoli.
