"Sale della terra, luce del mondo". Commento al Vangelo della V domenica del T.O. (Mt 5,13-16), a cura di Giulio Michelini
Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. 14Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, 15né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. 16Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.
Gustare e vedere
Continua la lettura del Discorso della montagna. Siamo all’inizio del discorso, subito dopo le Beatitudini.
Alcune parole di Gesù definiscono l’identità e il ruolo dei discepoli, che sono sale e luce. Si tratta fondamentalmente di due detti o insegnamenti centrati sull’identità dei discepoli – introdotti dalla formula «voi siete…» (5,13.14) – che mostrano non quello che essi devono diventare, ma che sono già. Il rischio semmai è quello di perdere la forza che viene dalle opere buone e dalla testimonianza originata dalla persecuzione di cui Matteo scriveva al v. 12 («Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.»). La testimonianza sembra qui essere differenziata in quella che si può dare nella terra (d’Israele) e nel mondo intero: due vocaboli diversi sono usati per indicare la prima (gē) e il secondo (kósmos). Il secondo termine sembra ampliare il significato del primo, al punto che si può spiegare, secondo alcuni, solo presumendo la missione ai pagani di Mt 28,19. L’ultimo paragone potrebbe acquistare anche un senso ironico ma soprattutto politico, se il lettore ideale a cui il Gesù di Matteo si rivolge avesse saputo che per Cicerone la «luce del mondo intero» (lux orbis terrarum) era Roma (4 Cat. 611; cfr. Fam. 11,12,2).
Approfondiamo ora il rapporto tra “dover essere” e già “essere”. Quante volte si sente parlare di crisi di identità: non sappiamo nemmeno più, in questo tempo post-moderno, dare il nome alle cose, che ci sfuggono, e di cui non cogliamo il significato. Il vangelo di oggi si apre con una sconcertante affermazione: il cristiano è. Mentre noi spesso non comprendiamo più la realtà, da Gesù viene un insegnamento di disarmante chiarezza sulla presenza dei cristiani nel mondo. Non si tratta di dover essere – anche se, ce lo insegnano i padri della Chiesa, ogni giorno si deve “diventare ciò che si è” –; non si tratta di dover fare – anche se l’agire morale ne discenderà inevitabilmente – ma di ri-scoprire chi siamo. A costo di sembrarci quasi esagerato, Gesù non usa mezzi termini nel definire la nostra carta, lo statuto di cristiani.
A volte una falsa umiltà oppure complessi di inferiorità chissà da cosa causati, potrebbero farci ritenere che i credenti debbano stare ai margini, perché hanno meno chance degli altri, di quelli che sono più “liberi” perché possono dire e fare quello che vogliono. Gesù dice che i cristiani non sono da meno degli altri uomini: i credenti in lui, anche se verranno perseguitati (cfr. l’ultima beatitudine, Mt 5,11-12), sono il sale della terra e la luce del mondo. Per questa ragione non devono stare “sotto” la realtà, nascosti, ma sopra, cioè “dentro” quella, come il sale è dentro un alimento o la luce dentro una casa. Guai a ritirarsi, dice Gesù: senza l’aiuto del credente il mondo perde il suo sapore e la casa non ha più luce.
Sale della terra. Il sale nella Bibbia è un elemento di comunione tra alleati, e aggiungere sale all’offerta per i sacrifici significava ribadire il patto di alleanza con Dio, come anche la comunione con lui (vedi anche il verbo di At 1,4, alla lettera: «mangiare insieme il sale»). Nm 18,19 e 2Cr 13,5 parlano pertanto di una «alleanza di sale» (la versione CEI traduce: «alleanza inviolabile» e «alleanza perenne»), e se i due testi si riferiscono all’alleanza con Aronne e con David, rispettivamente, nell’elaborazione rabbinica le due alleanze sono state accostate. Per «terra», qui, come già detto, si intende quella d’Israele.
Immagine polisemica nella Bibbia e nelle diverse culture, il sale richiama qui anche la sua funzione di far gustare il cibo. Senza sale si può mangiare comunque, il cibo fornirà ugualmente l’apporto energetico necessario, e servirà alla sopravvivenza. Ma mancherà la gioia del gusto, quel piacere che solo la buona tavola sa dare. Gesù dice che i credenti in Lui sono capaci di far gustare la vita, perché ne sono essi il gusto profondo, quello che esalta i sapori. Per la stessa ragione i credenti in Gesù – colui ha resi puri i cibi sulla tavola (Mc 7,19: «dichiarava così mondi tutti gli alimenti»), e ha banchettato con i suoi discepoli – sono essi stessi invitati a gustare la vita per primi. Il sale invece, se perde la propria caratteristica, viene calpestato dagli uomini. Forte, questa idea: la ritroviamo in altri brani del Nuovo Testamento, dove il verbo katapateo richiama le perle calpestate dai porci (cfr. Mt 7,6) o i semi calpestati e poi mangiati dagli uccelli (cfr. Lc 8,5). Se i credenti in Gesù non sono più tali, non solo non danno sapore, ma fanno una brutta fine.
La luce del mondo nella tradizione giudaica era rappresentata dal popolo santo di Dio (cfr. Is 42,6: «ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni») e dalla città di Gerusalemme (cfr. Ap 21,10 «Gerusalemme… risplendente della gloria di Dio»). Ora, dice Gesù, questa luce si trova soprattutto nella vita di chi crede in Lui. La luce di cui parla Gesù è quella della verità, la Parola che può dare un senso all’esistenza e far diradare le tenebre dell’angoscia in questi nostri tempi disperati. Questa luce, dice Gesù, risplende nelle opere buone e belle (così l’agg. greco kalos: bello, buono, giusto, onesto). Ma nelle parole del Gesù di Matteo potrebbe esserci anche un senso ironico e forse soprattutto politico, se il lettore ideale a cui l’evangelista si rivolge avesse saputo che per Cicerone la «luce del mondo intero» (lux orbis terrarum) era Roma (4 Cat. 611; cfr. Fam. 11,12,2).
Nonostante le nostre povertà di peccatori, grazie a Dio la Chiesa non smette mai di mostrare il lato più bello della propria esperienza, il volto della sua carità verso i poveri e i deboli. Ogni volta che ciò è mostrato e “visto”, la gloria è resa a Dio.
Gustare e vedere. C’è un salmo, il 34, che invita a “gustare e vedere” quanto è buono il Signore. Sembra quasi che Gesù voglia commentarlo con la metafora del sale e della luce: il sale è da gustare, la luce da vedere. Facendo gustare la realtà, mostrandola nella sua bellezza, il mondo riconoscerà chi è Dio.