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Oro, incenso e mirra. Un articolo dall'Osservatore Romano del 5 gennaio 2020

05/01/2020

Il suggestivo racconto dell’adorazione dei Magi è riferito solo dall’evangelista Matteo (2, 1-12). La dinamica narrativa propone toni solenni, ma sobri. La stella, che guida i sapienti, appartenenti alla classe sacerdotale della religione persiana, non rimanda a fenomeni astrofisici, ma assurge a un significato religioso, rivestendo un ruolo messianico, da riferire specialmente alla profezia di Michea (5, 1) su Betlemme, patria di Davide. La rivoluzione cosmica e la concretezza storica nutrono la narrazione del “primo Vangelo”, laddove il concetto della messianicità del Cristo è collegato alla divina regalità, secondo quanto suggeriscono i doni offerti dal Bambino da questi personaggi dall’elevato potenziale sociale, giunti da un lontano e indefinito oriente.

Tali doni mostrano un esponente cristologico, morale e teologico, ma anche cosmologico o istituzionale. I tre doni, per tutte queste accezioni, possono alludere alla Trinità, alle tre parti della terra, ai tre significati della Scrittura, ai tre più importanti gradi della gerarchia ecclesiastica.

Già Ireneo, nel ii secolo, spiega il significato dei tre doni: la mirra corrisponde alla morte del Cristo, l’oro alla sua regalità, l’incenso alla sua divinità. Tale decodificazione pare utile a uno scioglimento cristologico della donazione, che trova soluzioni iconografiche nell’arte dei primi secoli, quando i Magi recano elementi diversificati, ossia l’oro come corone o vassoi, l’incenso come globi e la mirra come piccole fiale. I tre doni, proprio nell’arte più antica, guideranno la scelta di rappresentare tre Magi, anche se in alcuni dipinti catacombali del III e del iv secolo, troviamo due, quattro e persino sei personaggi. Lo schema iconografico definitivo vede i Magi nell’atteggiamento reverente dell’offerta, mentre protendono le mani, talora velate, per recare i doni al Bambino, in grembo alla madre. La solenne processione richiama quello dei barbari vinti, che recano un prezioso tributo all’imperatore. I Magi vestono all’orientale, con una corta tunica manicata cinta, aderenti pantaloni, corto mantello e il berretto frigio.

I doni offerti al Bambino — come si diceva — sono portati tramite piatti circolari o ellittici e non sempre si distingue nitidamente il contenuto. Come abbiamo anticipato, l’oro, per lo più è indicato da una corona, ma può essere anche rappresentato come un piccolo mucchio di monete; l’incenso può essere suggerito da una pisside o da piccoli globi; la mirra da un vaso, da una coppa o da due ampolline.

La più antica rappresentazione dell’adorazione dei Magi va ricercata nella cappella greca della catacomba romana di Priscilla, da riferire alla seconda metà del III secolo, dove la scena dipinta è ridotta alle essenziali silhouettes dei personaggi, ma nella plastica funeraria del pieno iv secolo l’episodio si associa a quello della Natività, mentre tra i tre re spuntano le teste dei cammelli. Con il tempo, nasce un vero e proprio “ciclo dei Magi”, ossia il viaggio guidato dalla stella, l’incontro con Erode, l’adorazione e l’offerta dei doni. La narrazione continua trova la sua manifestazione più definita nell’arco absidale e ora trionfale della basilica romana di Santa Maria Maggiore. La sontuosa decorazione musiva, commissionata da Sisto III, all’indomani del concilio di Efeso del 431, si ispira all’Infantia Salvatoris, anche per il tramite degli scritti apocrifi. Ben due quadri ricordano la storia dei Magi, ossia l’adorazione e l’incontro con Erode.

Nella navata centrale della basilica palatina di Ravenna, concepita da Teodorico e abbondantemente rivista da Giustiniano, nota come Sant’Apollinare Nuovo, torna la maestosa scena dell’adorazione, riferibile alla seconda stagione musiva del monumento ravennate. Negli anni centrali del vi secolo, quindi, i Magi si avvicinano verso la Madonna intronizzata con il Bambino tra quattro angeli, dando avvio alla infinita processione delle vergini, che offrono solennemente le corone del martirio. I Magi, stagliati su un fondo aureo, vestiti con sgargianti e preziosi indumenti, sono definiti dalla didascalia Balthassar, Melchior e Gaspar. I tre re saggi sono rappresentati anche nel sarcofago ravennate di Isacio in San Vitale e nel mosaico dello stesso monumento, laddove Teodora, nel celebre pannello, che la raffigura tra i suoi dignitari, indossa una preziosissima clamide, nella cui balza è ricavata in oro la consueta scena dell’offerta.

Ma il tema ha lunghissima fortuna e attraversa i secoli del Medio Evo, spuntando a Castelseprio, a Santa Maria Antiqua e nell’oratorio di Giovanni VII nell’antico San Pietro in Vaticano. La scena nutrirà l’immaginario iconografico della storia dell’arte moderna e contemporanea, immortalando, con schemi sempre maestosi e aulici, l’arrivo di quei Magi, di quei pii sapienti, che avevano avvistato la stella della Natività, di cui Leone Magno aveva percepito il significato profondo, in quanto cifra del sacramento della Grazia, attraverso cui si attua l’universalità del messaggio evangelico.

In formato pdf: F. Bisconti, Oro incenso e mirra, Osservatore Romano 5 1 2018

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