La Passione di Cristo nell'arte (3): l'ingresso di Gesù a Gerusalemme, di Micaela Soranzo
ICONOGRAFIA DELL’ENTRATA A GERUSALEMME
Il racconto della Passione di Cristo inizia con la sua Entrata a Gerusalemme, riportata da tutti e quattro gli evangelisti con delle piccole varianti; è solo Giovanni, ad esempio, a nominare le palme, mentre gli altri parlano genericamente di rami. L’evangelista Matteo, in particolare, annota che “questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta” (Mt.21,4), poiché con quell’atto Gesù realizzava la profezia di Zaccaria: “Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina.” (Zac 9,9). Pertanto, sin dal II secolo, l’Entrata trionfale di Gesù è stata considerata come una delle più grandi affermazioni della sua messianicità.
Le prime notizie di questa festa ci sono fornite dal Diario di Viaggio (381-384) della pellegrina Egeria, che ci riporta la tradizione della festa dell’ingresso di Gesù nella città santa così come veniva celebrata nella chiesa di Gerusalemme, dove i fedeli si radunavano nella cosiddetta chiesa dell’Eleona, sul monte degli Ulivi. Questo avvenimento venne a coincidere nel Medioevo, otto giorni prima di Pasqua, con la Domenica delle Palme o ‘Domenica dell’Osanna’ a ricordo delle acclamazioni che hanno accolto il Salvatore a Gerusalemme, e palme, bosso e alloro divennero la vegetazione segno di tale accoglienza.
Le prime rappresentazioni risalgono al IV sec., tra queste il sarcofago di Giunio Basso, che evidenzia la direzione della marcia da sinistra a destra, le vesti distese sulla strada e un uomo in alto su un albero. La scultura si è molto interessata alla scena che ritroviamo, ad esempio, sulla facciata del duomo di Orvieto e in tutti i ‘Calvari bretoni’. Spesso, però, è ridotta all’essenziale, poiché mancano i discepoli e la folla giubilante: non resta che il Cristo benedicente a cavalcioni della sua asina. Nel trattare il tema l’arte romanica si è ispirata a due grandi tradizioni artistiche: la bizantina e la siriaca, che si differenziano per la posizione di Gesù sulla cavalcatura: nella prima è a cavalcioni dell’animale, seguito da uno o più discepoli, mentre un adolescente stende il mantello e un altro, salito su una palma, ne taglia dei rami, nella seconda Gesù è seduto di fianco come su un trono: una differenza che nasce dalle abitudini del vicino Oriente.
In quasi tutte le raffigurazioni dell’ “Entrata a Gerusalemme” Gesù avanza da sinistra a destra e solo raramente al contrario, come nella tela di Pietro di Giovanni D’Ambrogio (1440). Caratteristiche di quest’opera sono anche le pietre per terra, segno della durezza del cuore di molte persone, tra cui i farisei, che sentendo tanti acclamare il Messia chiedono a Gesù che li rimproveri, ma Gesù risponde loro: “Se questi taceranno, grideranno le pietre!”. (Lc.19,40). Nelle rappresentazioni successive si aggiungono numerosi personaggi e vi è maggiore realismo nei dettagli architettonici, come nell’opera di Duccio per l’altare maggiore di Siena o nell’affresco di Giotto agli Scrovegni.
Nella tavola di Duccio di Buoninsegna la scena sorprende per la grande attenzione data all’elemento paesaggistico, ricchissimo di particolari. La strada lastricata, la porta merlata della città, le feritoie della mura, le esili torri che svettano in alto e l’edificio poligonale di marmo bianco riproducono un asseto urbanistico e architettonico molto verosimile, mentre l’alberello che compare dietro il nimbo di Cristo, dissecato e privo di foglie, fa riferimento al fico sterile che Cristo trovò senza frutti.
Giotto, invece, si dimostra attentissimo alle corrispondenze visive fra le scene e così negli affreschi della Cappella degli Scrovegni la porta di Gerusalemme verso la quale avanza Cristo è la stessa dalla quale dovrà uscire portando la croce verso il Calvario. Inoltre l’asino su cui è seduto Gesù è praticamente identico a quello dipinto sulla parete di fronte nella scena della Fuga in Egitto. Giotto si ispira principalmente al Vangelo di Matteo e divide la scena in due grossi blocchi: sulla sinistra è collocato il gruppo compatto dei discepoli preceduti da Gesù a cavalcioni di un’asina con a fianco il puledro; a destra c’è la folla festante che esce dalla porta di Gerusalemme, mentre una persona si sta togliendo la veste e un’altra, prostrata a terra, la stende davanti a Gesù. Viene salutato dallo sventolio di rami di palma, segno di gloria, ma divenuti simbolo di martirio, e i ragazzi che si arrampicano sugli alberi ricordano l’episodio di Zaccheo a Gerico. Questi motivi sono ripresi dall’artista non solo dai vangeli sinottici, ma anche dal Vangelo apocrifo di Nicodemo: “I fanciulli ebrei avevano dei rami e stendevano a terra le loro vesti”. La figura di Gesù è posta al centro fra gli apostoli, tra cui si riconoscono Pietro e Andrea, e la folla, il Nuovo e l’Antico Testamento.
Tutta la composizione è ricca di significati simbolici; la cavalcatura di Gesù è quella tipica dei personaggi regali dell’Antico Testamento (Gdc.5,10; 10,4, 12,14; 1Re 1,38). L’asino, infatti, era la cavalcatura dei principi e dei re in tempo di pace ed era ritenuto, prima dell’introduzione del cavallo, in Mesopotamia e nel bacino del Mediterraneo (VI sec.) un animale nobile, abile e intelligente, degradato poi ad animale da tiro. Gesù, dunque, sceglie proprio una cavalcatura regale, poiché è per questo uso che in Oriente venivano allevati asini bianchi: “Il mio cuore si volge ai comandanti d’Israele […] Voi che cavalcate asine bianche, seduti su gualdrappe…”(Gdc.5,10).
E come Re-Messia si avvia verso Gerusalemme: il re ‘mite e umile’ viene a portare la salvezza a Gerusalemme, ma è seduto sull’asino come su un trono. Anche il distendere i mantelli davanti a lui allude alla sua regalità; si tratta di un rito che in Oriente si riservava ai personaggi importanti, quale riconoscimento della loro regalità.
Anche Pietro Lorenzetti, nella Basilica inferiore di Assisi, imposta la scena su due gruppi, il cui vertice è il Salvatore che lentamente incede sull’asina; dietro a lui c’è la processione degli apostoli colti ciascuno nella propria individualità: Giuda, col mantello rosso, è già senza nimbo e ha l’espressione accigliata, mentre si sta rivolgendo a Pietro che segue da vicino Gesù. Dietro un altro apostolo è girato a sinistra distratto dai bambini che sulla collina stanno cogliendo rami d’ulivo; vi è poi l’accavallarsi degli edifici della città
Nel corso dei secoli questo tema, però, non ha incontrato il favore degli artisti ed è stato trascurato, mentre ci sono esperienze molto interessanti nell’arte contemporanea, a partire dall’Entrata a Gerusalemme di Stanley Spencer (1920),
ambientata fra le case di un quartiere alla periferia di Londra: Gesù avanza lentamente in groppa all’asino, con uno sguardo penetrante verso quelle persone che fuggono al Suo passare, che si allontano quasi spaventati dalla Sua presenza, distogliendo volutamente il loro sguardo da quello di Cristo. Anche il giardino, selvaggio e senza fiori, sembra evidenziare il rifiuto dell’annuncio di salvezza che attraversa le loro vite.
Nella tela di Giovanni Costetti (1926), invece, si vede un Cristo che abita le case degli uomini, anche se, sullo sfondo di un’assolata periferia industriale fiorentina, la Sua presenza, a cavalcioni di un asino con la veste rosso acceso e la mano benedicente, non sembra però destare l’interesse dei pochi abitanti del quartiere che, posti tutti in ombra, rispetto alla luce solare che investe Cristo e gli edifici che lo circondano, sembrano occupati in altri discorsi.
Di particolare interesse è anche la tela di Renato Guttuso del 1985, espressiva del suo ultimo periodo artistico. L’opera ha un fascino particolare, esprime la premonizione del sacrificio mediante la composizione a forma di croce dei corpi della donna in primo piano a braccia alzate, di Cristo e dell'asino in groppa al quale entra nella città andando incontro al martirio. A parte il bianco che forma la croce, le figure sono molto colorate, con i rami di palma levati in alto, tante mani in vista tra cui quelle dello stesso Guttuso.
Più recenti sono le immagini realizzate per l’ultima edizione del Lezionario (2008) da Luigi Pagano e Bruno Ceccobelli. Pagano concentra l’episodio proprio sull’entrata, raffigurando Cristo nel preciso istante in cui varca la porta della città di Gerusalemme: è quasi un’apparizione, una ierofania. Ceccobelli, invece, è più fedele alle immagini del racconto, ma vuole evidenziare il rapporto conflittuale tra il popolo e la città; davanti il popolo agita festosamente le palme e inneggia a Cristo che avanza al centro; in alto Gerusalemme “città unita e compatta” (Sl.122,3) è avvolta in uno scenario di nebbia, quasi di irrealtà, come si escludesse da quanto sta avvenendo.
Infine nel 2015 Marco Rupnik realizza nella Chiesa della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo a Snagov in Romania, le vetrate con le dodici feste dell'anno liturgico, che nelle chiese orientali costituiscono il primo registro dell'iconostasi. Ispirandosi al Cantico dei Cantici, l’artista mostra i fanciulli di Gerusalemme che accolgono Gesù come Messia nella sua città, mentre i discepoli lo interrogano sul significato di questo avvenimento. Sulla vetrata è scritto:“Uscite figlie di Sion, guardate il Re della pace , nel giorno delle sue nozze” (Ct 3,11).