
Le Nozze di Cana tra Bibbia e Arte
Il miracolo delle Nozze di Cana anticamente era celebrato il 6 gennaio insieme all’Adorazione dei Magi e al Battesimo di Gesù, quale ‘manifestazione’ della sua divinità, rivelazione di un Dio che si è fatto uomo. Dopo il Concilio Vaticano II il racconto delle Nozze si legge nel Messale feriale il 7 gennaio e in quello festivo, relativamente all’Anno C, la II domenica del Tempo ordinario, cioè quella dopo il Battesimo di Gesù, per mantenere la relazione con gli altri due episodi.
L'iconografia delle Nozze di Cana ha conosciuto nel corso dei secoli grosse variazioni di significato, anche perchè si tratta di un tema non legato a una festa liturgica e quindi passibile di interpretazioni diverse.
Il tema, infatti, si è anche intersecato con la cristianizzazione di elementi pagani, con la riflessione sul culto eucaristico e con leggende varie. Inoltre l’episodio è narrato solo in maniera succinta negli Apocrifi che sono stati, come è noto, la grande riserva della tradizione iconografica.
Innanzitutto si possono distinguere due filoni iconografici:
- la trasformazione dell'acqua in vino
- la rappresentazione del convito
La prima tipologia è la più antica, mentre la rappresentazione del convito comincia ad emergere nell’Alto Medioevo. Gli artisti, però, si sono spesso trovati di fronte alla necessità di riunire in una sola immagine i diversi momenti della narrazione, per cui ci si imbatte in rappresentazioni in successione, con scene poliformi e personaggi diversi: Gesù, gli apostoli e i servi sono prevalenti nel periodo paleocristiano, in cui Maria appare molto raramente, mentre più tardi si aggiunge la figura del maestro di tavola, detto ‘architriclinio’ e, infine, nella tipologia del banchetto, gli sposi e gli invitati.
- LA TRASFORMAZIONE DELL’ACQUA IN VINO: Cristo taumaturgo
Il tema delle Nozze di Cana si incontra solo a partire dal III secolo nell’arte catacombale e tra le rappresentazioni più antiche c’è quella del Cimitero dei S.S. Pietro e Marcellino in cui si vede, sullo sfondo di una scena di banchetto, Cristo in primo piano, di fronte a un servitore, tocca con la verga taumaturgica un’urna fra i sei recipienti posati a terra davanti a lui. La verga, se da un lato richiama quella di Mosè, dall’altro è una reminiscenza del mondo pagano, dove simboleggia la potenza dei maghi e guaritori e diventerà lo strumento dei miracoli di Gesù in tutta l’arte paleocristiana. Nel corso del IV secolo ceste e anfore diventano un motivo ricorrente: in un loculo delle catacombe di Domitilla una figura orante ha da un lato sette ceste di pane e dall’altro sette anfore di vino. La stilizzazione è presente anche sulla porta lignea della basilica di Santa Sabina (V sec.) dove, in due pannelli sovrapposti, sono raffigurati i miracoli della moltiplicazione dei pani e della trasformazione dell’acqua in vino. Cristo con la bacchetta tocca sette giare, cosi come sopra sono raffigurate sette ceste. Il miracolo di Cana venne, quindi, ben presto interpretato dai Padri della Chiesa, come Cipriano e Cirillo di Gerusalemme, come un simbolo dell’Eucarestia.
La presenza di Maria
Nell’affresco delle catacombe di Alessandria (III sec.) abbiamo la prima vera rappresentazione delle Nozze di Cana; a sinistra una figura molto deteriorata porta la sigla IC: si tratta di Cristo che probabilmente fa un gesto di benedizione, mentre a lato ci sono due figure, una delle quali porta la scritta HAΓIA MAPIA (àghia Maria). Al centro c’è una scena di convito con un gruppo di uomini e donne che consumano un pasto seduti a terra e all’estrema destra un’altra figura con sopra la scritta ΠAIΔIA (paidìa, servi). Ci sono tutti gli elementi e i personaggi principali del racconto evangelico. Che si tratti proprio del miracolo di Cana e confermato dalla presenza, nella scena successiva, del miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Sempre in area egiziana troviamo Maria in una chiesa sotterranea di Deir Abu Henniz, nella zona archeologica di Arsinoe, lungo il Nilo (V-VI sec.). E’ in primo piano, nimbata, con una lunga tunica, e tocca con una mano, quasi a spingerlo ad agire, la spalla di Gesù, che a sua volta tocca con la bacchetta le giare.
Con il Medioevo l’interpretazione del miracolo diventa argomento di discussione fra i teologi. Non si parla più soltanto di simbolo eucaristico, ma diventa anche simbolo del matrimonio tra Cristo e la Chiesa e quindi, per Ildeberto di Mans, il cambiamento dell'acqua in vino a Cana va inteso come la sostituzione dell’acqua dell’Antica Legge col vino del Vangelo. In questo periodo la figura di Maria non solo compare stabilmente, ma tende a diventare un elemento centrale, comparendo accanto a Cristo benedicente, in alternativa a un apostolo. In una miniatura del Codex Egberti (X sec.) a destra si vede la Vergine con le braccia aperte di fronte al Figlio che benedice tre giare poste in mezzo a loro, mentre a sinistra due giovani servi stanno versando dell’acqua nelle altre tre.

Nel paliotto d’oro di Volvinio per la basilica di Sant’Ambrogio a Milano (835)Gesù benedice le sei giare riempite da un servo, Maria è in atteggiamento di intercessione e l’architriclinio assaggia il vino stando seduto.

- LA RAPPRESENTAZIONE DEL CONVITO
In uno degli avori di Salerno (XII sec.) la scena delle Nozze vede intorno a un tavolo a sigma, imbandito con sei pani e un pesce, sei personaggi: da sinistra Maria, che si rivolge a Gesù con la mano destra protesa verso di lui, ma con il braccio destro che benedice; poi tre persone senza nimbo, di cui due guardano Cristo, mentre il terzo è voltato verso una figura posta di spalle con in capo una corona, che è evidentemente lo sposo, con una reminiscenza del rito matrimoniale bizantino; in basso le sei giare con tre servi, di cui il primo versa l’acqua, il secondo porge una coppa a Cristo e il terzo, teso nello sforzo, sta per versare un’altra anfora.

Nella Basilica superiore di san Francesco ad Assisi Jacopo Torriti (1290) pone dietro a una tavola rettangolare imbandita con di fronte i servi che versano l’acqua, Gesù e Maria a sinistra, lui benedicente e lei che gli parla: al centro stanno li sposi e la sposa ha la corona in testa.

Il tema trova un nuovo vigore nell’arte italiana del XIV secolo, quando diventa un episodio sempre presente nei cicli delle storie del Nuovo Testamento.
Una scena complessa, che mostra diversi momenti contemporaneamente e usa i personaggi minori per vivacizzare il racconto, è presente nella Maestàdi Duccio da Buoninsegna (1311): qui Maria è a sinistra, con la mano alzata a chiedere, mentre Gesù, seduto, benedice con la destra. Davanti a lui sta l’architriclinio con espressione stupita; i servi hanno diversi atteggiamenti: uno versa, uno attinge il vino, uno guarda; di fronte alla tavola ci sono altri due personaggi, uno dei quali mostra all’altro una coppa di vino; quattro personaggi, di cui due nimbati stanno dietro alla tavola. In quest’opera non sono da trascurare i dettagli, come la stupenda tavola imbandita con una preziosa tovaglia damascata, con piatti, stoviglie, pani e il particolare dei bicchieri di vetro in cui è restato poco vino sul fondo. E’ Giotto, però, a portare una vera ventata di novità, nel ciclo della Cappella degli Scrovegni a Padova (1305), dove appaiono importanti varianti. La più evidente è il tavolo angolare con il Cristo all’estremità sinistra di profilo, mentre Maria è dalla parte opposta. Seduti al tavolo con Gesù ci sono Giovanni, il testimone, un vecchio nimbato che può essere Giuseppe, poiché secondo una tradizione sarebbe stato presente; dopo l’angolo del tavolo vediamo lo sposo, la sposa che guarda in avanti e Maria, voltata verso destra in direzione dell’architriclinio che, in piedi dietro sei grosse giare panciute poste su una tavola di legno, assaggia il vino. Completano la scena un giovane servo sulla porta e una serva con i capelli raccolti che versa acqua in una delle giare. Altre due fanciulle stanno davanti alla tavola e una in particolare osserva Gesù, fissa e incantata, quasi un dialogo fatto solo di sguardi, in una atmosfera sospesa: il miracolo è appena compiuto e c’è la sensazione in tutti che qualcosa di straordinario sia avvenuto; Maria guarda, piena di fiducia, il maestro di tavola che assaggia il vino. In tanta ieraticità proprio questo personaggio apporta una nota realistica e vivace, poichè appare come un oste panciuto e bonario, tutto assorto nel suo compito di esperto assaggiatore.

Perugino, invece, in una tavola della Galleria Nazionale dell'Umbria a Perugia (1523), pone Cristo e Maria seduti al centro di una tavola rettangolare, inserita in una ricca architettura classicheggiante, circondata da personaggi in eleganti costumi dell’epoca.
La grande svolta si avrà nella seconda metà del XVI secolo, quando questo tema, insieme a quello di tutti i conviti citati nel Vangelo, diventerà uno dei soggetti preferiti dalla committenza religiosa e monastica per l’arredamento dei refettori.
Lo spirito, però, con cui ormai si rappresenta il banchetto è diverso da quello dell’ultimo Medioevo. Là si sentiva la necessità di illustrare dettagliatamente una narrazione mentre qui, oltre il pretesto religioso, emerge il compiacimento dell’artista di illustrare un tema in cui si identifica un ideale contemporaneo di magnificenza e di eleganza.
E’ a Venezia che questa moda esplode: prima con Tintoretto e poi con Veronese, che nei suoi banchetti trova l’occasione per rappresentare i costumi più svariati, le architetture più sontuose e un infinito capriccio di macchiette e di episodi. Abbiamo detto banchetti, perché le stesse tipologie (moretti, animali, figurine, ritratti di contemporanei e cosi via) si trovano anche nel Convito in casa di Levi, nella Cena a casa del fariseo, e nel Banchetto di San Gregorio Magno. Veronese realizzò tre tele delle Nozze di Cana, che oggi si trovano una a Dresda, una al Prado e una al Louvre; in tutte e tre viene rappresentato il momento dopo il miracolo, con i servi che versano il vino e i gentiluomini che lo degustano tra architetture lussuose. Nella tela del Louvre (1563), intorno a una tavola a ferro di cavallo, si raccolgono innumerevoli personaggi, che hanno i tratti dei più illustri contemporanei, tanto che Cristo e sua Madre quasi spariscono in mezzo alla folla dei convitati. La scena e ricca di particolari e mostra nella sua ambientazione una commistione di dettagli antichi e contemporanei. L’architettura è certamente classica, caratterizzata da due vasti colonnati ai lati del dipinto; le vesti dei personaggi sono sontuose ed eleganti, dai colori brillanti e motivi ricercati. Al centro della tavolata siede Cristo vicino alla Madre: entrambi sono ritratti composti e calmi, e Gesù è rappresentato in modo totalmente diverso dagli altri commensali. La sua figura è più illuminata e monumentale, sembra distaccato da tutta la sala e osserva direttamente di fronte a sè e in una posizione immobile, con la corona luminosa che si irradia dal suo volto. I diversi personaggi sono atteggiati in modo apparentemente casuale, infatti alcuni di loro conversano amabilmente o si occupano del cibo.

Tintoretto (1561), invece, raffigura una lunga tavola longitudinale che rende l’intero quadro prospettico, mettendo in rilievo lo splendido soffitto ligneo a cassettoni. A differenza di Veronese, qui i commensali vestono abiti piu semplici e comuni, da media borghesia veneziana. In fondo alla tavolata, a capotavola si distingue Gesu, verso cui si sporge Maria che sta intercedendo per gli sposi: i calici, infatti, sono vuoti, poiche l’artista rappresenta il momento che precede il miracolo.

Il giovane Leandro da Bassano in una tela del 1582 rappresenta l’episodio come se fosse un’animata e colorita scena di vita cinquecentesca. Solo Cristo e Maria, infatti, indossano «vesti bibliche», mentre tutti gli altri personaggi, colti in pose naturali e in atteggiamenti quotidiani, portano gli abiti tipici della moda del loro tempo. La scena e ricca di particolari narrativi; infatti l’artista indugia su tutti i dettagli della composizione: i cesti di frutta, i contenitori di paglia, gli strumenti musicali, i vasi in metallo e in terracotta e le varie pietanze della tavola imbandita.
Ormai siamo fuori dal campo dell’iconografia sacra e pare che a questo scadimento di interesse per il tema di Cana non sia estraneo il Concilio di Trento con la sua sottolineatura della centralità del pane eucaristico e del culto eucaristico propriamente detto.
Successivamente questo primo miracolo di Cristo, però, non interessa più gli artisti e le Nozze di Cana spariscono praticamente dall’iconografia.
Il miracolo della trasformazione dell’acqua in vino, invece, ha interessato molto gli artisti contemporanei ed e piuttosto vasta la produzione di opere su questo tema.
Si torna alla stilizzazione dei primi secoli nell’opera di Floriano Bodini (1997), uno dei più importanti interpreti europei dell’arte sacra contemporanea, che raffigura solo Cristo con il braccio alzato benedicente, la Vergine e il servo posto davanti alle giare, che lo ascolta attentamente.

Un altro interessante esempio è quello di Arcabas (1989), poichè l’artista sviluppa il tema su due registri: nella parte inferiore sono raffigurati tre momenti che precedono il miracolo, mentre in quella superiore Cristo è al centro del tavolo, fra gli sposi e il maestro di tavola, mentre Maria è alle sue spalle. La preparazione del tavolo con la tovaglia e i candelieri, che inquadrano Cristo benedicente con in mano un calice di vino, è un vero e proprio richiamo eucaristico.

Simbologia delle sei giare
Agostino nella ‘Seconda Omelia sul Vangelo di Giovanni’ fa riferimento alle sei giare delle Nozze di Cana come simbolo delle età del mondo, dalla creazione alla fine dei tempi, come le possiamo anche ammirare nella cupola della chiesa di San Filippo a Perugia. Le sei epoche sono così suddivise: 1.da Adamo a Noè; 2.da Noè ad Abramo; 3.da Abramo a David; 4.da David all’esilio babilonese; 5.da Babilonia a Giovanni Battista; 6.dalla nascita di Gesù alla fine del mondo.
Questo numero, inoltre, può essere messo in rapporto con alcuni eventi di grande importanza ricordati nel Vangelo e collegabili con il mistero battesimale. Si fa riferimento, infatti, al racconto della Trasfigurazione: "Sei giorni dopo Gesù prese con sè Pietro, Giacomo e Giovanni..."(Mt.17,1; Mc.9,2) e indica la trasfigurazione prodotta dal Battesimo oppure "sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betania dove si trovava Lazzaro" (Gv.12,3) e qui il numero indica l'immediata preparazione alla Pasqua e al battesimo. Da ciò scaturisce anche la forma esagonale di alcuni battisteri antichi, come quello di Aquileia. Il numero sei è anche simbolo della creazione e del monogramma di Cristo. Successivamente le vetrate della cattedrale di Canterbury del XIII sec., che illustrano questo simbolismo, vi aggiungeranno anche le sei età della vita umana: infantia, pueritia, adulescentia, juventus, virilitas e senectus.