Già nella chiesa antica si celebrava la domenica di Lazzaro e gli elementi liturgici di questa festività provenivano, forse, dalla comunità primitiva di Gerusalemme.
Nella descrizione del miracolo, di cui i vangeli sinottici non parlano, Giovanni inserisce una forte nota emotiva, poiché Lazzaro è descritto come ‘caro a Gesù’, ma nell’arte questo aspetto è superato dalla raffigurazione del prodigio. L’aggravarsi delle condizioni di Lazzaro scandisce la prima parte del racconto di Giovanni; poi Gesù annuncia l’intenzione di recarsi a Betania e l’incontro con Marta e Maria aggiunge commozione alla scena.
E’ in assoluto l’episodio neotestamentario più diffuso nell’arte delle catacombe, dopo il Buon Pastore, il che non deve stupire, se si pensa quanto il racconto giovanneo evochi, per i primi cristiani, la speranza della via eterna, di cui il personaggio di Lazzaro contiene la promessa; spesso è accompagnato dal ‘miraculum fontis’ o da altre scene a carattere battesimale o salvifico o, come in un vetro dorato del IV sec., dalle Nozze di Cana.
Lazzaro è morto da quattro giorni e la peculiarità del miracolo, segno della potenza divina che vince la morte, è sottolineata già dai primi autori cristiani, come Tertulliano e Agostino, che recuperano il concetto che la “resurrezione” di Lazzaro è prova inconfutabile della natura divina di Cristo, prefigurazione della sua stessa resurrezione e, per questo, immagine della remissione dei peccati. Si trova dal III sec. nei cubicoli dei Sacramenti a Callisto e a Pretestato, Lo stesso accade nella plastica funeraria, dove la Resurrezione di Lazzaro occupa solitamente una delle estremità delle lastre o della fronte dei sarcofagi nei quali, a partire dal IV sec., c’è la presenza di una delle sorelle di Lazzaro, probabilmente Maria, che si prostra ai piedi di Gesù o bacia la sua mano, come nel sarcofago di S.Sebastiano; particolare è la resa del miracolo operato dall’Agnus Dei sul sarcofago di Giunio Basso. La “resurrezione” di Lazzaro è frequente anche nelle arti minori, dove si trova su lucerne e vetri dorati, su una pisside d’argento del IV sec., ora al Louvre, e su una copertura di Evangeliario in avorio del Tesoro del Duomo di Milano del V sec..

Il tipo più antico di composizione presenta Cristo e Lazzaro, a cui si aggiungono poi una delle sue sorelle e un apostolo. Tuttavia un modello che conteneva parecchie figure si è sviluppato nell’arte siro-palestinese e si è perpetuata nel Codice Purpureo di Rossano (VI sec.); il gruppo degli ebrei e degli apostoli che accompagnano Gesù per vedere il miracolo può essere più o meno numeroso e, a partire dal VI secolo, ci sarà sempre una persona che porta un mano al naso o alla bocca.
Sin dagli inizi la scena presenta lo schema canonico con Cristo che opera il miracolo toccando generalmente con la verga taumaturgica il capo del defunto, rappresentato come una mummia all’entrata del sepolcro. Con questo gesto Gesù è associato a Mosè che fa scaturire l’acqua dalla roccia (Esodo 17,3-6), ma nel corso del tempo la verga, simbolo del potere di Gesù, tende a scomparire, anche per non richiamare il ricordo pagano del bastone con cui Hermes conduceva i morti nell’Ade. La verga è rimpiazzata da una croce che Gesù tiene nella mano sinistra, infine resta solo il gesto vivificante della mano del Signore, come a S.Domitilla. A volte il volto di Lazzaro è reso libero dal ‘velarium’ come su un fondo di coppa della Biblioteca Vaticana o in una pittura di Domitilla ed eccezionalmente il defunto compare già liberato dalle bende, come a S.Callisto.
La forma del sepolcro e l’atteggiamento di Lazzaro diventano, però, i due elementi essenziali per la caratterizzazione delle diverse composizioni e l’evoluzione dell’iconografia, così che si possono distinguere quattro versioni.
1.Da principio egli appare in piedi all’ingresso della grotta sepolcrale, avvolto nelle bende come una mummia, secondo l’uso giudaico di seppellire i morti. La rappresentazione della tomba di Lazzaro, impropriamente detta ‘edicola’, si discosta dal sepolcro di tipo palestinese descritto dal testo giovanneo e ripete invece il modello monumentale degli edifici funerari romani a tempio, come mostrano le cortine murarie stilizzate, le ‘fenestrelle’, e gli acroteri della tomba di Lazzaro su alcune pitture come nelle catacombe di Domitilla o di Pietro e Marcellino. Ci si trova di fronte alla rappresentazione dei monumenti funerari di età imperiale a Roma, con il tetto a capanna e i gradini che conducono all’entrata.

Al tipo paleocristiano della scena con il sepolcro romano, ancora presente sul mosaico ravennate di .Apollinare Nuovo, si sostituisce nel corso del VI sec. una redazione bizantina più aderente al testo evangelico, dove Lazzaro risorge da una grotta: tale iconografia si trova per la prima volta sul Codice Purpureo di Rossano, per diventare preponderante nell’arte medievale. Nell’icona bizantina al centro della composizione c’è la figura di Cristo, che in una mano tiene il rotolo della Legge mentre l’altra, benedicente, è tesa a richiamare in vita l’amico Lazzaro, posto di fronte a lui e avvolto nelle bende funebri. Alcuni personaggi, fra cui i farisei riconoscibili per il copricapo, sono riuniti ai lati e intorno a Lazzaro; uno degli astanti si copre il viso e significa così nello stesso tempo il fastidio che egli prova a causa della putrefazione del corpo del morto e lo stupore di fronte all’avvenimento della “resurrezione”. Cristo è seguito dagli apostoli, mentre Marta e Maria sono prostrate ai piedi di Gesù, che riconoscono nella sua natura di Messia e lo pregano per il fratello. In secondo piano si intravede, sulla cima del monte, la città di Gerusalemme, allusione alla Gerusalemme celeste. Nella composizione solo Gesù e Lazzaro hanno l’aureola: ciò sottolinea che la “resurrezione” di Lazzaro evoca in maniera anticipata la resurrezione di Cristo. Ispirato all’arte bizantina, in occidente questa iconografia compare in un affresco della chiesa di Oberzell a Reichenau.
2.Successivamente Lazzaro è raffigurato mentre si alza dal sarcofago o è sdraiato: come il cambiamento della liturgia battesimale ha influito sulla trasformazione dell’iconografia del Battesimo di Gesù, così l’evoluzione dei riti funebri rinnova il tema della “resurrezione” di Lazzaro. Soprattutto nel Medioevo, sotto l’influenza della messa in scena dei Misteri, l’arte rappresenta Lazzaro che si solleva dal suo sarcofago alla chiamata del taumaturgo, come nella miniatura del Libro delle Très Riches Heures du Duc de Berry dei fratelli Limbourg, dove viene raffigurato a torso nudo mentre fuoriesce da una tomba in marmo e sullo sfondo vi è un accenno di architettura di una chiesa gotica. Anche nel bassorilievo in bronzo della colonna di Hildesheim si rappresenta Lazzaro quando, nudo, si alza dal sepolcro, guarda Cristo e risponde alla sua chiamata con un gesto delle mani in preghiera. Spesso il sepolcro è un sarcofago di pietra o una bara di legno, come a Zillis, dove il defunto è rappresentato mentre ne esce fuori, mentre in un bassorilievo del deambulatorio della cattedrale di Chichester (Inghilterra) è in piedi, ma ancora fasciato fino alla vita e giunge le mani in un gesto di adorazione verso Gesù che gli sta di fronte. Nella seconda metà del XV secolo i pittori fiamminghi hanno ripreso il tema: oltre al sarcofago dove l’uomo resuscitato si siede, è diventato usuale rappresentare una fossa e Lazzaro seduto all’entrata su una pietra.
3.Una tipologia iconografica molto rara presenta Lazzaro che fuoriesce scavalcando il bordo della tomba; si può vedere nel bassorilievo di un alabastro inglese del XV sec. e appare come una contaminazione con la resurrezione di Cristo. Dello stesso periodo è la tela del fiammingo Albert van Ouwater che ambienta la scena in una chiesa e non all’aperto come consuetudine, ma il fatto non deve stupire, perché Gesù chiede di essere portato dove è stato sepolto l’amico e nel XV sec. era frequente l’uso di ricavare sepolcri sotto il pavimento delle chiese. Qui coloro che si turano il naso per l’odore sono scribi e farisei, riconoscibili da vestiti e lineamenti caricati in senso negativo.
4.Talvolta Lazzaro ha le mani legate e Pietro, su ordine di Cristo, gliele slega: questa innovazione è stata suggerita dal potere di legare e sciogliere conferito al Capo degli apostoli, poiché è poco credibile pensare che avesse le mani legate dentro la sua tomba. Le diverse rappresentazioni hanno molti punti in comune: Gesù è raffigurato in piedi, con la mano alzata in un gesto di benedizione; le due donne implorano il suo intervento, e attorno vi sono alcuni discepoli, anche se il vangelo non ne parla. Alcuni di loro aprono il sepolcro, altri slegano il “risorto” e volte c’è chi si tura il naso o si protegge il volto con un fazzoletto a causa dell’odore fetido del cadavere.
Numerose sono le raffigurazioni romaniche: fra le più interessanti vi è quella del capitello del chiostro di Moissac, che in uno spazio molto ristretto offre una felice sintesi della scena; le diverse facce presentano, nell’ordine: Marta e Maria ai piedi di Gesù che ha in mano il libro dei Vangeli; le due sorelle che si affrettano verso la tomba; i discepoli che per ordine del Maestro sciolgono le bende a Lazzaro, in piedi nel sarcofago; infine i Giudei pieni di meraviglia di fronte al miracolo. o il capitello di S.Isidoro a Leòn, dove si vede la testa che emerge dalla tomba il cui coperchio si apre davanti a Maria e Cristo con due discepoli, che indossano le vesti medievali tipiche della regione, mentre le arcate che ornano il sarcofago ricordano una tomba antica.

Giotto, nell’affresco della Cappella degli Scrovegni a Padova, come poi in quello della Basilica Inferiore di Assisi, segue scrupolosamente il vangelo: Gesù, raffigurato in piedi, con la mano alzata in un gesto di benedizione, fa risorgere Lazzaro, che appare strettamente avvolto nelle bende funerarie; Marta e Maria sono prostrate a terra e implorano il suo intervento. Molti altri personaggi assistono alla scena: vi sono due assistenti che spostano la pietra del sepolcro e chi si copre il volto per timore del cattivo odore. Vi è poi il gruppo dei discepoli di Gesù, riconoscibili dall’aureola, tra cui spicca Giovanni, il più giovane, in primo piano, e il gruppo dei giudei, con le mani aperte per lo stupore mentre uno, indicando Gesù, forse si interroga su che cosa stia succedendo. Tra i due discepoli che slegano Lazzaro, quello a sinistra è molto probabilmente Pietro, riconoscibile per la barba grigia e riccia, ma anche perché a lui si ricollega il potere di legare e slegare conferitogli da Gesù. Il cadavere sta riprendendo vita e lo si può notare dalle labbra semidischiuse. Nella raffigurazione di Duccio di Buoninsegna, Gesù, sempre ritto in piedi, non fa un gesto di benedizione, ma allunga la mano in un gesto di accoglienza, di invito a uscire dal sepolcro. Qui siamo nel momento che precede l’ordine di slegarlo. Dietro a Gesù, fra i discepoli, sono facilmente riconoscibili Pietro e Giovanni: sono gli stessi che correranno per primi al sepolcro di Cristo. Anche in questa immagine c’è chi ha tolto la pietra tombale e chi si tura il naso per la puzza. Vi sono poi le due sorelle di Lazzaro: Marta è in piedi e interloquisce con Gesù, mentre Maria è prostrata ai suoi piedi. Questi due atteggiamenti si possono ricondurre a quelli che le due donne hanno avuto quando hanno accolto Gesù a casa loro, come nella tela di Sebastiano del Piombo (XVI sec), dove la donna reagisce animatamente al gesto di Gesù, com’è nel suo carattere pratico e impulsivo. Maria è spesso raffigurata nell’iconografia occidentale con la veste rossa, perchè assimilata alla Maddalena. La tomba riprende dall’arte bizantina: è incastrata nella roccia e ha la forma di un’edicola con frontone.
Lungo i secoli molti grandi artisti hanno affrontato questo tema, come Beato Angelico, Lorenzo Ghiberti sulla porta de Battistero di Firenze, Benozzo Bozzoli e poi Michael Pacher sulle porte dell’altare di Saint Wolfgang, fino a Guercino, Tintoretto, Rubens, Delacroix e, per venire ai giorni nostri, William Blake, Salvador Dalì, Annigoni e Giuliano Giuliani per il Lezionario CEI.
In particolare, nel XVII sec., Rembrandt, in un’acquaforte e in una successiva tela, mostra Lazzaro che si rianima sotto l’azione degli effluvi magnetici del taumaturgo e solleva la sua testa esanime davanti a coloro che assistevano allibiti. Rembrandt, come già Caravaggio, conserva a Gesù il suo gesto tradizionale con la mano destra, ma esso è esagerato, con il braccio levato in alto quasi a accompagnare il rialzarsi di Lazzaro, per strapparlo alla tomba. Van Gogh, successivamente, nella sua opera sembra riprendere lo spirito della tela di Rembrandt: il suo Lazzaro adotta i tratti e l’atteggiamento del suo predecessore e così una delle figure femminili del quadro alza le braccia allo stesso modo. In Van Gogh, però, quella che scompare è addirittura la figura di Gesù a cui ha dato la forma di un sole che illumina lo spazio centrale, lo stesso che in Rembrandt occupa Cristo.
