
La parabola del servo spietato tra Bibbia e arte. Commento iconografico a cura di Micaela Soranzo
La parabola del servo spietato è raramente raffigurata, anche se il racconto di Matteo (Mt.18,21-34), unico evangelista a parlarne, è molto articolato e descrittivo. Da un punto di vista iconografico la narrazione si sviluppa in tre scene: 1. il primo debitore è davanti al padrone, la sua supplica e il condono del suo debito; 2. il secondo debitore incontra il servo, la sua supplica e la risposta spietata del primo debitore; 3. il meritato castigo del primo debitore.
Le prime due scene sono simmetriche: la petizione del debitore è formulata con le stesse parole, ma la risposta dei due creditori è opposta.
Diecimila talenti era una somma enorme se lo storico Giuseppe Flavio riporta che l’ammontare annuo dei tributi che la Galilea e la Perea potevano prelevare dai loro cittadini al tempo di Erode il Grande non superava i 200 talenti e le tasse della Giudea, della Samaria e dell’Idumea erano di 600 talenti: la somma, dunque, era stata scelta per mettere in risalto la gravità incommensurabile del debito che l'uomo contrae con Dio a causa del peccato.
Tra le immagini più antiche vi sono le miniature del Codex Aureus di Spira o Evangeliario di Enrico III (XI sec.)
e dell’Evangeliario di Ottone III o di Reichenau, (X sec.)

Quest’ultimo illustra le prime due scene del racconto, mostrando a sinistra il re seduto in trono e il servo prostrato ai suoi piedi che chiede la grazia, mentre a destra lo stesso servo sta aggredendo il suo compagno: “lo prese per il collo e lo soffocava.”
Il momento dell’aggressione, infatti, è uno dei più illustrati anche nei secoli seguenti, molto probabilmente perché è proprio in quel passaggio che troviamo il significato della parabola, “Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”
Anche Domenico Fetti, ad esempio, in una tela del 1610 rappresenta il momento in cui il primo debitore, appena uscito dal palazzo del padrone, afferra per la gola il suo compagno. Il silenzio della scena, rimarcato dalla rigidità dei volumi dell’edificio, è squarciato dall’urlo lancinante della vittima che, rivolta verso l’osservatore, sembra voler catturare l’attenzione di un improbabile soccorritore piuttosto che implorare pietà al suo aggressore.
Questa parabola è stata oggetto di attenzione soprattutto da parte degli illustratori delle Bibbie del XVI sec.,

le cui incisioni raffigurano, sia nella stessa immagine che in più pagine, tutti e tre i momenti del racconto con grande ricchezza di particolari. Interessante è

la Bibbia di Lutero, poiché pone in primo piano Gesù e Pietro che con la sua domanda “Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?” ha fornito a Gesù l’occasione per raccontare questa parabola e far capire che il perdono dei fratelli non deve avere limiti, come non ha confini il perdono di Dio.

Rembrandt (1660), invece, come altri suoi contemporanei, preferisce ritrarre il terzo momento del racconto, quando il servo spietato viene accompagnato, in questo caso da una guardia e da uno dei presenti alla scena, davanti al padrone. Entrambi i personaggi sono in luce, ma il re, indicando il servo, che a mani giunte cerca forse di giustificarsi, non volge più il suo sguardo verso di lui, ma verso la guardia, perché esegua quanto le è stato comandato.

L’arte contemporanea si è poco interessata a questi temi iconografici, pertanto sono particolarmente interessanti le due opere di Eugéne Burnand, che ha scelto di disegnare il momento in cui il servo, accompagnato dalla sua famiglia, con lo sguardo supplichevole cerca di impietosire il padrone e quello, subito dopo, quando si avventa contro il suo compagno con lo sguardo pieno di odio e il braccio aperto carico di violenza.