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Gesù Cristo, il giusto.

Di seguito proponiamo, per questo Venerdì Santo, una meditazione su un versetto della Passione secondo Matteo (Mt 27,19): "Mentre [Pilato] sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua»".

La riflessione che segue si trova nel libro di G. Michelini, Personaggi anonimi nei vangeli della passione (Ancora, 2022).

La moglie di Pilato – come ogni altro personaggio della passione di cui stiamo commentando le vicende – aveva un nome. Probabilmente era anche molto noto, perché era la sposa del prefetto di Gerusalemme, ma all’evangelista Matteo non doveva importare come si chiamasse, e infatti questa donna rimane anonima. Solo negli apocrifi sarà identificata come Claudia Procula (o Procla).

Origene (183-253 ca.) sosteneva che si fosse convertita al cristianesimo, e verrà annoverata tra le sante in alcune chiese. Di un suo spirito religioso si parla proprio nel Vangelo di Nicodemo: quando Gesù entra davanti a Pilato e si compiono alcuni segni prodigiosi (gli stendardi con le insegne romane si inchinano alla sua presenza), il prefetto, pieno di paura, decide di alzarsi dal seggio, ma in quel momento viene interrotto dal messaggio della moglie. A seguito di quelle parole, Pilato si rivolge a «tutti i Giudei» dicendo: «Mia moglie è molto religiosa e ha grande simpatia per le usanze giudaiche»[1]. Ma di questo aspetto della sua personalità, nei vangeli canonici, non si dice nulla.

Cos’altro si potrebbe dire di lei? Forse anch’ella proveniva da una famiglia importante, come lo era quella del marito[2]: i Ponzi avevano tra le loro fila consoli e senatori, ed erano “amici di Cesare”, come alcuni membri del Sinedrio ricorderanno allo stesso Pilato, minacciandolo: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare!» (Gv 19,12).

Pilato e sua moglie

Altre informazioni non sono reperibili, e così emerge la differenza tra il poco che si sa di questa donna e il modo in cui il prefetto romano viene identificato e connotato nei vangeli canonici. Lo spiega in modo molto accurato Giorgio Agamben:

Pilato è forse l’unico vero “personaggio” dei Vangeli, un uomo di cui conosciamo le passioni («si meraviglia molto», Mt 27,14; Mc 15,5; «ha grande paura», Gv 19,8), il risentimento e l’ombrosità (come quando, a Gesù che non gli risponde, grida: «Ah, non mi parli – emoi ou laleis!Non sai che posso liberarti o farti crocifiggere?»), l’ironia (almeno secondo alcuni, nella famigerata replica a Gesù: «Che cos’è la verità?»), l’ipocrita scrupolosità (di cui testimonia tanto il sollevare una questione di competenza di Erode che il lavacro rituale delle mani, con cui crede di purificarsi del sangue del giusto condannato), la stizza (il perentorio «quel che ho scritto, ho scritto» ai sacerdoti che gli chiedono di cambiare l’iscrizione sulla croce). Ne conosciamo fuggevolmente anche la moglie, che durante il processo gli manda a dire di non condannare Gesù, «perché oggi ho molto sofferto in sogno a causa sua» (Mt 27,19)[3].

Insomma, dal Vangelo secondo Matteo, l’unico dei vangeli canonici che la nomini, della moglie di Pilato sappiamo solo che improvvisamente invia un messaggio al marito mentre questi è seduto sul seggio del giudice – la sedia curule (sella curulis) del magistrato romano – e sta per pronunciare la sentenza su Gesù.

A cosa dobbiamo il suo intervento coraggioso? Se volessimo formulare ipotesi storiche, non corroborate però dal testo del vangelo di Matteo, potremmo anche arrivare a ritenere «probabile che la moglie di Pilato si fosse interessata a Gesù, forse perché aveva sentito parlare della sua predicazione, dei suoi miracoli, del suo ingresso trionfale a Gerusalemme, e che ne abbia parlato in casa col marito»[4].

Se invece rimaniamo ai pochissimi elementi che Matteo ci fornisce, non possiamo fare altro che fermarci allo scopo di questo versetto, col quale l’evangelista dice almeno due cose: (1) un tentativo da parte di questa donna di fare “qualcosa” per Gesù, e (2) il suo sogno.

Il tentativo della moglie di Pilato

Che cosa sta cercando di fare la moglie di Pilato, inviando un messaggio al marito?

Nei resoconti apocrifi della passione di Gesù, è tutto più semplice, perché la sua intenzione viene esplicitata. In un’altra versione del Vangelo di Nicodemo rispetto a quella vista sopra, viene riportato il contenuto del messaggio: «Continua – chiede al marito – a non concedere che venga fatto del male a Gesù, uomo buono. Infatti questa notte ho avuto sogni spaventosi a cagione di lui»[5]. La moglie di Pilato, qui, sta chiedendo al marito di non desistere, e di rilasciare Gesù, ma queste parole variano considerevolmente rispetto quelle contenute nel racconto di Matteo.

Queste ultime possono essere suddivise in due parti.

Nella prima, la moglie di Pilato sta invitando il prefetto a non aver a che fare, a non immischiarsi, con Gesù. La frase da lei pronunciata è in questo del tutto simile ad altre due frasi che si trovano nei vangeli. Nel vangelo secondo Marco queste parole si trovano sulla bocca degli spiriti impuri che intimano a Gesù di non cacciarli dall’indemoniato di Cafarnao, e gli domandano: «Che cosa tra noi e te…?» (Mc 1,24). La frase della moglie di Pilato poi è simile a quella pronunciata da Gesù allorché risponde, a Cana di Galilea, a sua madre, Maria: «Che cosa tra me e te?» (Gv 2,4,).

La traduzione della Conferenza Episcopale Italiana è diversa per le tre situazioni (per ovvie ragioni riguardanti il contesto), nella forma (due frasi sono interrogative) e nel contenuto (Mt 27,19: «Non avere a che fare con»; Mc 1,24: «Che vuoi da noi…?»; Gv 2,4: «Donna, che vuoi da me?»), ma la struttura sintattica nell’originale greco è la stessa per tutte e tre, data dalla sequenza “pronome + congiunzione + pronome”. Alla lettera, suonano così: «Niente tra te e quel giusto» (Mt 27,19); «Che cosa tra noi e te…?» (Mc 1,24); «Che cosa tra me e te?» (Gv 2,4). Insomma, la frase della moglie di Pilato potrebbe essere tradotta con «non lasciarti coinvolgere», «con il significato abituale di rottura di rapporto»[6]: la moglie di Pilato, con ciò, non chiede esplicitamente al marito di rilasciare Gesù.

La seconda parte della frase, alla lettera, «molto, infatti, ho sofferto, oggi, in sogno, per causa sua» presenta sia l’elemento onirico, su cui torneremo tra poco, sia l’idea del “patire”. Il verbo páschō, “soffrire”, insieme all’aggettivo pollà, “molto”, che troviamo nelle parole della moglie di Pilato, appare solo qui e nella prima predizione della passione di Gesù, in Mt 16,21 («Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani…»), e significa appunto una grande sofferenza.

Non si deve però dimenticare che, nella frase della moglie di Pilato, Gesù non è chiamato col suo nome, ma è chiamato «quel(l’uomo) giusto». Questo dettaglio ci permette di leggere tutta la frase che viene comunicata dal messaggero come un tentativo, un gesto di amore, non solo nei confronti di Gesù, ma anche verso Pilato. Lo spiegano bene Mariateresa Zattoni e Gilberto Gillini, in una meditazione che è stata dettata a papa Francesco e alla Curia Romana per gli Esercizi Spirituali della Quaresima del 2017:

Ciò che è detto è un atto di amore (e ci auguriamo che sempre le donne siano capaci di questo linguaggio e non diventino pappagalli dei maschi quando questi giocano le loro partite sul potere): un atto di amore verso il marito. «Non avere a che fare con quel giusto»: lo mette in guardia, e gli dice che è ancora in tempo a sottrarsi alla partita del sangue che chiederà altro sangue. È, poi, un atto di amore verso quel “giusto”, che forse ci può far sospettare come questa annotazione sia in qualche modo legata alle donne del seguito di Gesù, sia pure in modo molto segreto. E perché mai questa donna si mette dalla parte del “giusto”? Perché, dice, «ho sofferto molto per causa sua». Qual è il titolo per cui una donna si legittima a difendere un essere umano? Com’è che una donna si schiera dalla sua parte? «Ho sofferto molto» è il titolo della sua partecipazione e della sua difesa, perfino al di là dei torti e delle ragioni. Ci viene in mente il parto, originario titolo di questo amore che non viene meno; durante il parto una donna vive il “soffrire” come atto d’amore verso la vita “altra”, la vita che si stacca da lei, ma che lei proteggerà, costi quel che costi, come se dicesse: “tra il nulla e la vita io ho messo il mio corpo come baluardo”; è il mio corpo che dice “non tornerai indietro”, non ti riconsegnerò al nulla. E dunque l’espressione «ho sofferto molto» è la ragione per amare, per mettersi dalla parte dell’altro[7].

Un altro elemento, che non viene normalmente notato, è la par­ticolare situazione comunicativa rappresentata dall’ambasciata. Appunto perché mediata da qualcuno (dobbiamo supporre che alla moglie non fosse permesso avvicinarsi al marito in sede di giudizio, ma comunque Matteo non dice nulla su questo), questa comunicazione è doppiamente fragile. Insomma, il lettore quasi non può aspettarsi che le parole di Mt 27,19 abbiano una qualche efficacia: sono ambigue e mediate da una terza persona. Ci sono tutte le condizioni perché Pilato non ascolti quanto dice sua moglie, e faccia altro.

Anche a tale riguardo leggiamo il commento dei coniugi Gillini-Zattoni:

Il modo del messaggio. E come dice tutto ciò questa donna sconosciuta? Attraverso un messaggero: il suo posto è dietro le quinte. Non può fare altro. Non può fare altro in difesa del giusto. È pochissimo. Eppure lo fa. La logica femminile dice – con i fatti – che il poco è meglio di niente; che lei non conosce la legge dei maschi (se vado in guerra, la devo vincere) e mette avanti la sua piccola voce, anche quando sa che ci vorrebbe una montagna per fermare la violenza. E la sua piccola voce chiama un sogno a testimone delle sue ragioni. Un sogno è quanto di più impotente ci sia, quanto di meno rigoroso, quanto di meno perentorio. Chiunque può dire “è solo un sogno” e sottrarre valore al contenuto. Un sogno è sempre licenziabile, licenziabile come un non-senso, come inconsistente. Anche oggi, dopo che Freud ce ne ha insegnato il valore, potrebbe accadere. Nel bel mezzo del gioco dei potenti, è quanto di più impotente ci sia.

Ma qui il mezzo rivela appieno il contenuto del messaggio. Nella complessità della vita non sono sempre più valide le ragioni coerenti e logiche, quelle meglio formulate; anzi a volte raggiungono meglio il cuore dell’interlocutore suggerimenti balbettati e sommessi, come uno spillo nel pallone gonfiato della sicurezza dei potenti. Anche Pilato infatti risponde a sua moglie indirettamente con un messaggio, che però non è solo debole, ma meschino, come quello di lavarsi le mani. Pilato è all’interno del primo assioma della pragmatica della comunicazione: “non si può non comunicare” e infatti il gesto dice che lui vuol tirarsene fuori (e far ricadere la colpa sugli ebrei), ma nel contempo Pilato stesso lo sconfessa, perché non si sottrae al potere di consegnare Gesù a chi lo vuole crocifisso[8].

Il sogno della moglie di Pilato e gli altri sogni del Vangelo di Matteo

Torniamo invece ora alla seconda parte della frase pronunciata dalla moglie di Pilato, dove si allude a un suo sogno. Ancora una volta siamo davanti a tante incertezze: che cosa abbia sognato questa donna, non viene detto da Matteo. Solo in un apocrifo di difficile datazione, la Lettera di Pilato a Erode, dove i due personaggi si dispiacciono per avere aver messo a morte Gesù, si legge che la moglie di Pilato aveva sognato proprio Gesù, che gli era apparso[9].

Secondo una lettura psicanalitica dell’episodio, avanzata da uno psicoterapeuta francescano, Guido Kreppold, la moglie di Pilato starebbe cercando di salvare Gesù, facendosi in qualche modo interprete di quel desiderio inespresso che sarebbe anche del popolo, che diversamente dai capi dei Giudei sa che è innocente: «il sogno, con la sua lingua simbolica e ricca di immagini, è l’accesso immediato del singolo al proprio inconscio e a quello dell’umanità»[10].

Se però rimaniamo al testo di Matteo, ancora una volta dobbiamo arrenderci di fronte alle poche informazioni che l’evangelista fornisce. Rimane una sola strada da percorrere, quella di leggere l’episodio a partire dagli indizi che ci vengono dal testo in cui questa pagina è inserita, l’intero Primo vangelo. Nel racconto di Matteo, infatti, il sogno della moglie di Pilato non è un’eccezione, ma è il sesto sogno raccontato dall’evangelista.

I primi cinque si trovano nei racconti dell’infanzia, e guardandoli sotto la stessa luce, ci accorgiamo che nelle situazioni in cui si parla di sogno, questo interviene per salvare qualcuno. In Mt 1,20-24 la sposa di Giuseppe, futura madre di Gesù, viene preservata dalla possibile lapidazione, oppure, nella migliore delle ipotesi, dalla separazione dallo sposo, che ha già deciso di licenziarla[11]. In Mt 2,12 a essere salvati da un sogno sono i magi, che evitano così di tornare a Gerusalemme e incorrere nell’ira di Erode, da cui sono stati ingannati, ma che ora ripagano sfuggendo al lui (cf. Mt 2,16). In Mt 2,13-14, a essere salvato poi è proprio Gesù, che viene portato in Egitto per sfuggire al re empio e assassino. In Mt 2,19, col sogno che induce Giuseppe a lasciare la terra in cui si sono rifugiati, Gesù deve essere “salvato” dall’Egitto, una terra che presenta sempre una duplicità e un pericolo per Israele. Giuseppe però resiste a quest’ultimo sogno, e ne è necessario un altro. Grazie all’ultimo sogno dei vangeli dell’infanzia (Mt 2,22) finalmente Giuseppe si convince e arriva con Gesù e la madre in Galilea.

In definitiva, se guardiamo bene tutte queste situazioni, a essere in pericolo è comunque sempre Gesù. A questo punto è facile dire che anche l’ultimo sogno del vangelo di Matteo, quello della moglie di Pilato, può avere la stessa funzione, essere cioè l’estremo tentativo – in quanto elemento, ancorché fragile, della rivelazione divina – per liberare Gesù dalla morte. Il prefetto romano, infatti, sta ormai decidendo tra chi dovrà vivere e chi dovrà morire: Gesù o Barabba? A favore del primo c’è la moglie di Pilato, la cui intercessione «è guidata da Dio, mentre quelli che grideranno contro di lui»[12] sono guidati dagli uomini.

A riprova del nostro ragionamento, si può riferire la credenza che si riscontra in autori cristiani come il santo di Fulda Rabano Mauro (789 ca. – 856) o Bernardo di Chiaravalle (1090 – 1153), o un poema in antico sassone del IX secolo (Heliand). Secondo questi, il sogno della moglie di Pilato sarebbe stato causato dal diavolo, «in base al curioso ragionamento che, se essa fosse riuscita a convincere Pilato a rilasciare Gesù, la salvezza non si sarebbe potuta realizzare»[13]. Di parere opposto erano gli antichi scrittori e i padri della Chiesa, come Origene, Girolamo e Agostino. Quest’ultimo addirittura poneva la moglie di Pilato in antitesi con Eva: se la seconda aveva istigato Adamo, suo marito, a disobbedire al Signore, portando la morte, la prima invece aveva cercato di convincere il suo a decidere per la vita.

Il messaggio non sortisce l’effetto

Il sogno, però, per le ragioni che abbiamo spiegato sopra, non sortisce alcun effetto: Gesù viene condannato dal prefetto della Giudea. Aldo Schiavone, uno degli storici italiani più tradotti al mondo, nel suo libro Ponzio Pilato. Un enigma tra storia e memoria[14], scrive: «Nel solo Vangelo di Matteo è raccontato come l’orientamento del prefetto fosse stato influenzato anche da un messaggio fattogli pervenire dalla moglie, nel corso dell’inquisizione: “Non ci sia nulla fra te e quel giusto [Gesù], perché oggi ho molto sofferto in sogno a causa sua”». Prima che nelle opere di questo storico, in uno degli studi più importanti sulla passione di Gesù, quello di Raymond E. Brown, si poteva leggere che fu la testimonianza di questa donna «ad indurre Pilato al tentativo eccezionale in Mt 27,24-25 di non contaminarsi con sangue innocente»[15].

Ci permettiamo di dissentire da queste due autorevolissime interpretazioni: Pilato è stato influenzato dalla moglie? Non sembra. La ragione non sta solo in quella che è la disattenzione di Pilato, ma anche nell’ambiguità della richiesta della moglie, e in altri motivi ancora. Per esempio, se si legge il nostro versetto alla luce delle tradizioni giudaiche, emerge un elemento ancor più allarmante: soltanto quattro donne in testi giudaici ricevono dei sogni (Miriam, Rebecca, Glaphyra, Stratonica), contro la stragrande maggioranza maschile del fenomeno. Tre di queste donne sono punite per questi sogni, e una non è creduta: il sogno è un linguaggio fragile che non viene ascoltato, soprattutto se a sognare sono donne.

Inoltre, diversamente dai sogni presenti nelle varie leggende o nelle diverse letterature mondiali (si pensi al sogno della moglie di Giulio Cesare), Dio agli appartenenti al popolo di Israele insieme al sogno dona anche la possibilità di darne la corretta interpretazione, al modo in cui aveva dato al patriarca Giuseppe e a Daniele il modo di decifrarli. Giuseppe e i magi – nei racconti dell’infanzia del Vangelo di Matteo – capiscono quanto devono fare, e nonostante la debolezza della comunicazione ricevuta, lo mettono in atto: Pilato e sua moglie, no.

Ascoltare la Parola di Dio

Cosa abbiamo imparato da questa anonima?

Quando l’evangelista Matteo spiega che la moglie di Pilato aveva sofferto, in sogno, usa l’espressione kat’ónar, conosciuta già da Omero, che con essa indicava «sogni originati dalla sfera spirituale»[16] e un contatto con il mondo invisibile divino; soprattutto, l’espressione era ben nota ad Artemidoro di Daldi. Questi nel II secolo d.C. compose un trattato che ebbe un enorme successo, L’interpretazione dei sogni, nel quale distingueva i sogni in due categorie: ónar, il sogno profetico, durante il quale lo sguardo si spingeva sino al futuro; enýpnion, invece, il sogno non profetico: «L’enýpnion differisce dall’ónar in quanto il secondo è semantico delle cose che saranno, il primo di quelle che sono»[17].

La moglie di Pilato, e suo marito, ci insegnano che si deve ascoltare – in qualunque modo essa giunga – la voce di Dio. È vero che nella tradizione giudaica il sogno si presenta sempre come una forma debole di rivelazione: «Ci sono tre sessantesimi [cioè “surrogati”]: il sessantesimo della morte è il sonno, il sessantesimo della profezia è il sogno, il sessantesimo del mondo avvenire è il sabato» (Bereshit Rabba 17,5; 44,7). Ma è anche vero che a volte rimane solo quel surrogato: «Con la fine della profezia Dio parla non solo attraverso i sogni, ma anche con una voce “debole”, la Bat Qol» (Yoma 9b). Una voce debole, ma sempre la voce di Dio.


[1] Atti di Pilato, Testo greco A, trad. di M. Craveri, I Vangeli apocrifi, Einaudi, Torino 1990, 306.

[2] Cf. M. Inghilesi, L’incontro fra Gesù e Pilato. Processo al processo e teologia di Giovanni 18–19. Percorso storico, giuridico ed esegetico, EDB, Bologna 2012, 18.

[3] G. Agamben, Pilato e Gesù, Nottetempo, Milano 2018, 10-11.

[4] M. Inghilesi, L’incontro fra Gesù e Pilato, 126.

[5] Atti di Pilato, Testo greco B, trad. di M. Craveri, I Vangeli apocrifi, 335-336.

[6] E. Vallauri, «La moglie di Pilato», in I. Volpi (ed.), In Spiritu et Veritate. Miscellanea di studi offerti al P. Anselmo Mattioli in occasione del suo 81mo anno di età, Roma 1995, 157-188; 160.

[7] G. Michelini, Stare con Gesù, stare con Pietro. Gli Esercizi Spirituali predicati a Papa Francesco, Porziuncola, S. Maria degli Angeli – Assisi (PG) 2017, 112.

[8] G. Michelini, Stare con Gesù, stare con Pietro, 112-113.

[9] Trad. di M. Craveri, I Vangeli apocrifi, 393.

[10] G. Kreppold, La Bibbia: il libro che guarisce. Approccio psicanalitico alla Sacra Scrittura, Edizioni Messaggero, Padova 2007, 17.

[11] Cf. G. Michelini, «I quattro sogni di Giuseppe», in G. Michelini – A. Andreozzi (edd.), Giuseppe di Nazaret. Il sognatore in cammino, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2021, 111-146.

[12] H.K. Bond, Pontius Pilate in history and interpretation, Cambridge University Press, Cambridge 1998, 132, n. 47.

[13] R.E. Brown, La morte del Messia, 908.

[14] A. Schiavone, Ponzio Pilato. Un enigma tra storia e memoria, Einaudi 2017, 121.

[15] R.E. Brown, La morte del Messia, 910.

[16] W.J. Subash, The Dreams of Matthew 1:18‒2:23. Tradition, Form, and Theological Investigation, Peter Lang, New York 2012, 157.

[17] Artemidoro, Interpretazione dei sogni, 1,1; trad. da G. Guidorizzi, Il compagno dell’anima. I Greci e il sogno, Raffaello Cortina Editore, Milano 2013, 26.

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