Commento alle letture della I domenica di Avvento, 27 novembre 2016, a cura di Bruno Pennacchini ofm
Commento alle letture della I domenica di Avvento (27 novembre 2016), a cura di Bruno Pennacchini ofm. Letture: Is 2,1-5 / Sal 121 / Rm 13,11-14a / Mt 24,37-44.
Con la prima domenica d’Avvento ha inizio l’anno liturgico, ossia il ciclo delle celebrazioni che, ripercorrendo i misteri della fede cristiana, permette ai credenti di partecipare alla vita di Dio.
Il termine Avvento ha a che fare con il verbo venire; equivale, più o meno, a venuta: la venuta di Dio incontro all’uomo. Il suo primo insegnamento di questo tempo è dunque che il Dio dei cristiani non è un dio statico, ma un Dio che viene.
Nella Bibbia la venuta è espressa con un termine greco: parusìa. Ai cristiani delle prime generazioni esso richiamava la venuta del re o dell’imperatore di Roma, nella loro città; venuta collegata a una festa gioiosa, perché il re era in genere accompagnato da doni al popolo, distribuzione di denaro, giochi popolari e quant’altro. La cosa che portava ovviamente a tutti grande gioia. Utilizzando la parola parusia, riferita a Gesù Cristo, i cristiani intendevano acclamarlo Re e ne gioivano, esultando per la sua presenza nell’assemblea liturgica. Forse senza saperlo, anche noi lo facciamo, quando al culmine della celebrazione eucaristica acclamiamo: Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua risurrezione in attesa della tua venuta.
La Parusia è al centro della liturgia odierna. Nei primi sei versetti del Vangelo (37-42) se ne paragonano i giorni a quelli di Noè, non riferendosi però alla malvagità violenta di cui parla Genesi 6, ma alla spensieratezza, alla superficialità di quella generazione, che distratta dal tran tran quotidiano, non tenne conto della realtà di Dio e del giudizio che si annunciava imminente. E come allora se ne accorsero solo quando arrivò il diluvio che portò via tutti, così avverrà nei giorni della parusia di Gesù, in cui, senza preavviso, uno sarà preso per la salvezza e un altro lasciato alla perdizione.
Nell’ultima parte della lettura (43-44) i giorni della parusia sono paragonati all’arrivo del ladro, che viene senza preavviso. Anche qui il padrone di casa – dice la parabola – va in rovina non a causa della sua malvagità, ma della sua imprevidenza e leggerezza (cfr 1Tes 5,2-4).
Le due parabole non sottolineano l’aspetto gioioso della venuta del Messia, ma piuttosto quello della inappellabilità del giudizio, che accompagnerà la venuta del Messia. Per questo si concludono con l’esortazione pressante a vegliare: la prima facendo riferimento al giorno sconosciuto della venuta di Gesù, la seconda all’ora notturna e inaspettata.
La liturgia si era aperta con la visione di una impressionante festa di popoli, che in quei giorni si sarebbero radunati ai piedi di Gerusalemme, esortandosi a vicenda a salire il Monte del Tempio (Is 2,1-3). È una massa che cerca la strada su cui orientare la vita; essi non la conoscono, ma sanno con certezza che su quel monte c’è Qualcuno che indicherà loro quella giusta, dove camminare con sicurezza. Il Signore risponderà divenendo Lui stesso guida e arbitro: ed essi sperimenteranno allora una pace incredibile. Il profeta Isaia conclude esortando il suo popolo a camminare nella luce del Signore. L’esortazione di Gesù a fare attenzione per non entrare in letargo, addormentati dal tran tran quotidiano, cade come una bomba in mezzo alla presente realtà socio-culturale, che vive come se tutto dovesse durare all’infinito, paga del proprio piccolo benessere, garantito da una tecnologia che non cessa di stupire, e del tutto ignara della realtà di Dio presente nella storia.
Molte sono le cose che rischiano di addormentarci, facendoci chiudere gli occhi sulle realtà fondamentali: la ricerca affannosa della propria immagine, la salute fisica sempre smagliante, la ricerca della giovinezza perenne, l’accumulo dei beni, la lotta per primeggiare… come ricerca di sicurezza. Paradossalmente però il momento presente è anche pieno di paure: paura dell’avvenire, paura dell’ambiente che si va degradando: il riscaldamento globale, paura di quello che mangiamo, dell’aria che respiriamo… non è il caso di insistere su cose che tutti sanno.
Le strade che l’uomo sta percorrendo, nel disperato tentativo di salvare se stesso, lo hanno condotto in paludi di paure e di solitudine. La liturgia di oggi annuncia al credente la possibilità di sperimentare, nel profondo di sé, la pace descritta dal profeta Isaia, a patto di rimanere in vigile attesa della parusia di Gesù.
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