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"Il sole sui cattivi e sui buoni". Commento al vangelo della VII domenica del Tempo ordinario (Mt 5,38-48), a cura di Giulio Michelini

- Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra, 40 e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. 41 E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. 42 Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle. 43 Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. 44 Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, 45 affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. 46 Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? 47 E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? 48 Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.

 

«O Dio, che nel tuo Figlio spogliato e umiliato sulla croce, hai rivelato la forza dell’amore, apri il nostro cuore al dono del tuo Spirito e spezza le catene della violenza e dell’odio, perché nella vittoria del bene sul male testimoniamo il tuo Vangelo di pace. Per il nostro Signore Gesù Cristo…». Leggendo la seconda colletta della Settima domenica del Tempo Ordinario, riportata sopra, sembrerebbe di essere già in Quaresima, o nella Settimana Santa. Invece, con il vangelo di questa domenica continua la lettura del discorso della montagna. Ma la preghiera Colletta interpreta molto bene quanto dice Gesù in questa parte del discorso, rileggendola in senso cristologico. Potremmo dire che il primo a mettere in atto quanto ha insegnato ai discepoli è stato Gesù, e proprio davanti a quelli che gli erano ostili, i suoi avversari.

All’inizio del discorso della montagna Gesù è salito sul monte, e come Mosè dal Sinai – che ha ricevuto la Legge e l’ha data ad Israele, che l’ha attualizzata continuamente e donata alle generazioni seguenti – presenta la sua interpretazione, in questa parte, di due punti della Torà, uno tratto dal libro dell’Esodo, l’altro dal Levitico.

La lex talionis - legge del taglione (Mt 5,38-42) - si trova non solo nel libro dell’Esodo ma anche nel Codice di Hammurabi. Apparentemente cruenta, a guardar bene era una conquista civile, che voleva limitare la pratica della vendetta sproporzionata. Eccone una parte del testo: «occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido» (Es 21,24-25). Dalla tradizione rabbinica questo principio era però già stato considerato anche troppo severo e inapplicabile. Per questa ragione, l’effettiva sua messa in pratica veniva sostituita con un risarcimento, come spiegherà poi in epoca medievale anche il grande commentatore Rashi: «Non si intende che si deve privarlo a sua volta dell’organo menomato» (Commento a Baba Qamma 83b). Gesù si trova sulla stessa linea, ma arriva ad una interpretazione ancor più radicale: l’unico modo per disinnescare il circuito della violenza è non opporvisi.

Due sono gli esempi coi quali il Signore spiega il suo ragionamento. Il primo riguarda un caso che si trova anche nella Mishnà, quello del manrovescio, ritenuto molto più grave di uno schiaffo (Mishnà, Baba Qamma 8,6). Le parole del maestro acquistano senso dal fatto che Egli le ha messe in pratica per primo, quando è stato portato in giudizio, spogliato, schiaffeggiato, e, «insultato, non restituiva l’insulto; soffrendo non minacciava, ma si affidava a Colui che giudica rettamente» (1Pt 2,23).

Il secondo esempio ha a che fare con il ritrovarsi inermi davanti al nemico. Una curiosità di tipo semantico riguarda il detto sul mantello, al v. 40. La parola greca chiton è un calco dall’ebraico kuttōnet, e indicava la «sottoveste» di lino o lana da portare sulla nuda pelle, chiamata in latino tunica. Sopra invece veniva posta la «sopravveste», che in Mt 5,40 è himation ed è espressamente distinta dalla tunica. Possiamo immaginare una logica di questo tipo: a chi pretende la sottoveste, deve essere data anche la sopravveste, fino al punto di rimanere disarmati, quasi nudi, davanti all’avversario. È quanto accade al Messia crocifisso, le cui vesti (himatia) sono spartite dai soldati (cfr. Mt 27,35). Ma dietro questa distinzione vi è anche un riferimento alla Torà, perché secondo Es 22,25-26 la «sopravveste» (himation) può essere requisita in tribunale, ma deve essere restituita a sera all’imputato: Gesù dice di lasciare anche quella.

L’amore per i nemici, in Mt 5,43-48, è il secondo argomento del vangelo di questa domenica. Il detto di Mt 5,43 è particolarmente significativo per illuminare il ragionamento che sta alla base di quelle che abbiamo già chiamato “intensificazioni” di precetti (e non tanto antitesi) compiute da Gesù nel discorso della montagna. Gesù cita una frase che in parte deriva da Lv 19,18 LXX («Amerai il tuo prossimo come te stesso»), mentre la restante non si trova nel Primo Testamento, che non insegna certo a disprezzare il nemico. Un detto riguardante l’atteggiamento verso chi non è prossimo è però attestato in un testo degli Esseni, nella Regola della Comunità, uno dei documenti più importanti ritrovati presso il mar Morto: «… per amare tutti i figli della luce… e per odiare tutti i figli delle tenebre, ciascuno secondo la sua colpa» (1QS 1,9-10). Questo testo potrebbe fornire uno sfondo per l’accenno di Gesù a ciò che era stato insegnato (J. Fitzmyer): Gesù si starebbe riferendo a una massima popolare, a qualcosa che si poteva comunemente pensare verso un avversario, o, più probabilmente, addirittura a una interpretazione erronea di testi veterotestamentari come, p. es., Sal 139,21-22, proprio come l’interpretazione data dagli Esseni, che si basavano su questi testi per insegnare l’odio per i nemici.

Altri invece interpretano gli insegnamenti di Gesù non tanto in dialettica con gli esseni, quanto piuttosto rivolti a un altro gruppo, quello degli scribi e farisei, di cui parlava Gesù proprio all’inizio del discordo della montagna («se la vostra giustizia non supera di molto quella degli scribi e dei farisei…»; Mt 5,20). In altre parole, Matteo starebbe citando la Torà così come veniva interpretata da questo movimento: mentre il comandamento di amare il prossimo verrà ripreso altre volte da Matteo (cfr. Mt 19,19 e 22,39), senza ulteriori aggiunte, solo qui invece la frase «non amare il tuo nemico» verrebbe smentita da Gesù, proprio perché avrebbe fatto parte di un’interpretazione comune a farisei e scribi. In realtà, non abbiamo insegnamenti rabbinici che possano comprovare questa tesi, se non un testo forse del II secolo, e probabilmente rimaneggiato più tardi: «Ama tutti questi, ma odia i settari, gli apostati, e gli informatori» (Avot deRabbi Natan, 1,16). Se il riferimento agli apostati presente in questo scritto rabbinico fosse antico, e si riferisse magari ai giudeocristiani, il Gesù di Matteo allora starebbe addirittura insegnando a non rispondere agli avversari con la stessa moneta, ma con l’amore per i nemici.

Il detto di Gesù sull’amore per i nemici e i persecutori, nel v. 44, appare anche nella Didachè (1,3), dove addirittura si chiede di digiunare per i persecutori e di benedire i nemici (cfr. Lc 6,28). Si tratta di una novità rispetto al contesto dell’epoca. Anche se questo insegnamento si trovava già in una forma embrionale nel libro dell’Esodo, in Mt 23,4-5 («Quando incontrerai il bue del tuo nemico o il suo asino dispersi, glieli dovrai ricondurre. Quando vedrai l'asino del tuo nemico accasciarsi sotto il carico, non abbandonarlo a se stesso: mettiti con lui a scioglierlo dal carico»), rappresenta una di quelle parole gesuane – come quella sul divorzio – che non sembrano avere precedenti diretti nel Primo Testamento o negli scritti giudaici.

Qualunque sia la soluzione (una risposta ai farisei o agli esseni…), possiamo immaginare che Gesù voglia opporsi a un modo di pensare generalizzato e davvero pericoloso, quello che può nascere, insomma, nel cuore di ogni uomo, e dalla difficoltà di amare quelli che fanno del male agli altri.

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