Commento al Vangelo della festa del Battesimo del Signore (8 gennaio 2017), a cura di Giulio Michelini ofm
- Matteo 3,3-17 - Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare. Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».
Commento di Giulio Michelini ofm
Solo apparentemente i quattro vangeli ci trasmettono la stessa interpretazione del battesimo del Signore. Meglio, sono i tre vangeli sinottici a trasmetterci la notizia del suo battesimo: l’evangelista Giovanni, infatti, non conosce la tradizione di un battesimo di Gesù, e piuttosto preferisce raccontare di un Gesù che, egli stesso, battezza (cf. Gv 3,26).
Il dato comune, invece, a tutti i sinottici, è che non venga fornita dagli autori alcuna spiegazione a riguardo del perché Gesù si sia lasciato battezzare da Giovanni. La situazione si complica, poi, se prendiamo sul serio il vangelo di Marco, nel quale leggiamo che il battesimo di Giovanni non era un qualsiasi rito di auto-immersione (come quello di purificazione giudaico, o come quello praticato quotidianamente dagli esseni), ma prometteva addirittura il «perdono dei peccati» (Mc 1,4): di quale conversione avrebbe avuto bisogno Gesù, e di quale perdono dei peccati?
Ecco che allora proprio Matteo sembra rispondere a questa domanda, ma in modo implicito e indiretto, attraverso un dialogo tra Gesù e il Battista – che è trasmesso solo dal Primo vangelo – in cui leggiamo che il Battista non vorrebbe battezzare Gesù. Se dunque i vangeli non danno ragioni del battesimo di Gesù, sarà compito dell’esegesi e della teologia tentare di dare delle risposte.
La prima risposta possibile è che Gesù abbia preso parte a un rito che significava il suo discepolato. Può risultare difficile da accettare, ma molti esegeti sono concordi nel dire che Gesù deve essere stato alla scuola di colui che, poi, la comunità cristiana avrà riconosciuto come il nuovo Elia (cf. Mt 17,11-13). Giovanni deve aver esercitato una forte attrazione su Gesù, e deve essere stato, scrive J.P. Meier, il suo mentore: per questo Gesù si sottopone addirittura al suo battesimo. Ma poi «dev’essere sopravvenuto un ripensamento, perché Gesù si staccò da Giovanni. Se Gesù non se ne fosse staccato, avrebbe soltanto ingrossato le file del movimento battista e non sarebbe stato quello che noi conosciamo» (R. Penna).
Una seconda risposta è che Gesù abbia voluto compiere un gesto di solidarietà con tutto Israele, partecipando così ad un movimento di preparazione alla venuta del Regno: è la soluzione a cui sembra alludere l’evangelista Luca, per il quale Gesù ricevette il battesimo (ma da parte di chi? Giovanni era stato già arrestato, secondo il racconto di Luca; cf. Lc 3,19-20) «mentre tutto il popolo veniva battezzato» (Lc 3,21).
Per tornare al racconto di Matteo, mettiamo ora in luce alcuni elementi, ribadendo che anche in questo vangelo Gesù (da quello che appare nel racconto) viene battezzato da Giovanni come uno dei tanti membri della comunità di Israele che si erano recati da lui, o, come detto sopra, come uno dei suoi discepoli. Il suo battesimo però si distingue per alcuni fenomeni che vengono descritti dagli evangelisti in modi diversi, e che ora vediamo nella versione di Matteo.
Caratteristico di Matteo, come detto sopra, è il dialogo che si instaura tra Gesù e il Battista, e che rende la scena notevolmente più lunga rispetto agli altri sinottici. Il Battista sembra conoscere Gesù, e gli si rivolge ponendo delle riserve al battesimo che questi voleva ricevere. Gesù gli risponde con parole che nel contesto del primo vangelo suonano come programmatiche. Anche se la frase «è bene per noi compiere ogni giustizia» (v. 15) ha suscitato una decina di interpretazioni diverse, ed è difficile capire a chi si riferisca il «noi» (a Gesù e Giovanni, oppure a Gesù e ai lettori impliciti nel testo?), in ogni caso è centrale per il Gesù di Matteo l’idea che Gesù sia venuto a «compiere» o confermare la Torà e le profezie e adempiere la «giustizia». Il verbo «compiere», plēróō, che in totale si trova sedici volte nel vangelo secondo Matteo, è caratteristico di questo vangelo, come anche il sostantivo «giustizia». La giustizia in Matteo implica il vivere conformemente alle esigenze di Dio, imitandone quella caratteristica che esprime il suo stesso Nome. Gesù dunque sta dicendo che il suo battesimo – col quale adempie la giustizia – è un modo per essere fedele alla Torà stessa? Giustizia e Legge, in Matteo, sono strettamente correlate, e in questi due concetti è come condensata la volontà di Dio che esige adesione e obbedienza. Gesù però compie la giustizia o la Torà non solo obbedendo ai suoi precetti, ma dando al piano di Dio una dimensione di pienezza.
Ma ci soffermiamo ora brevemente sugli effetti del battesimo di Gesù, ovvero sui vv. 16-17. Diversi motivi percorrono il racconto. Anzitutto devono essere ricordati quelli legati alla creazione (l’uscire dal Giordano richiama l’uscire della terra dal caos acquatico, secondo il racconto di Gen 1,6-10, dove appunto l’asciutto compare perché il mare – sul quale aleggiava una colomba – si ritira in un unico luogo) e alla redenzione di Israele (che con Mosè passa il mar Rosso in quanto popolo-figlio primogenito di Dio, secondo quanto si legge in Es 4,22, e giunge alla terra promessa attraversando il Giordano). Il Figlio-Gesù che esce dall’acqua, secondo questi riferimenti, è colui che rinnova la creazione.
Subito dopo si dice che si aprirono i cieli. Oltre ad essere un richiamo a quanto accaduto per Ezechiele («si aprirono i cieli e vidi una visione divina», Ez 1,1), Matteo sta probabilmente pensando alla lamentazione di Isaia che – nel contesto di una riflessione sul primo esodo – prega perché torni Dio, apra i cieli e scenda. Un apocrifo giudaico, forse però interpolato da mano cristiana per il riferimento all’acqua, offre ancora un ulteriore aggancio con la nostra scena, descrivendo la venuta di un “sacerdote nuovo”: «I cieli si apriranno… e la gloria dell’altissimo sarà pronunciata sopra di lui, lo spirito di intelligenza e di santità riposerà su di lui sull’acqua» (Testamento di Levi 18,6).
La colomba nelle fonti giudaiche rappresenta lo Spirito di Dio che aleggiava sulle acque primordiali, ed è anche associata alla voce di Dio che qui proclama Gesù il Figlio amato. Questa voce, come quella della scena della trasfigurazione di Mt 17,5, è una Bat Qôl (alla lettera: «figlia della voce»). Secondo l’interpretazione rabbinica, la profezia, che cessa la sua funzione all’epoca del secondo tempio, lascia il passo ad altri modi con cui Dio parla al suo popolo. Se «la profezia è stata tolta ai profeti e data ai sapienti» o addirittura «è stata data ai folli e ai bambini», uno dei modi in cui Dio parla ancora è attraverso questa voce che, pur non avendo la forza della voce potente rivolta ai profeti, è come un’eco della stessa parola divina.
Le parole della voce (udite da tutti o da Gesù solo?) richiamano l’unzione del Servo di Is 42,1, a cui Matteo farà espressamente riferimento in 12,18, quando il testo isaiano verrà rievocato. Le stesse parole si udranno poi durante la trasfigurazione di Gesù, quando il Padre si rivolgerà ai suoi discepoli perché lo ascoltino (cfr. 17,1-9). In tutti questi casi, Gesù non solo è paragonato da Matteo al Servo sofferente, ma è il Figlio prediletto di Dio, come Isacco (cfr. Gen 22,2), ed Efraim/Israele (cfr. Ger 31,20). Da questo momento Gesù riceve lo Spirito per la missione al suo popolo e viene confermato nella sua relazione speciale col Padre: come il figlio amato di Abramo, come Israele, e infine come il servo di Isaia. La voce dal cielo tornerà più avanti nel racconto matteano, quando il Figlio dovrà iniziare il viaggio a Gerusalemme (17,5) e compiere il destino del Servo di Dio, quello di Israele e del figlio sacrificato, Isacco.
In conclusione, la festa del battesimo del Signore segnala da una parte la partecipazione di Gesù alla storia e alla sorte del suo popolo, Israele, che nel periodo in cui Gesù ha iniziato il suo ministero, aveva accolto l’annuncio di questo movimento “battista” per un rinnovamento e una conversione; dall’altra ci ricorda che il battesimo, che ha avuto effetti così importanti sulla vita del Signore, impegna davvero Dio nel conferire a chi lo riceve il dono dello Spirito. Ma il battesimo dei cristiani, ora, non è più quello del Battista, non è più semplicemente un battesimo nell’acqua del Giordano: è un battesimo nella morte e risurrezione di Gesù, e quindi molto diverso dai riti di conversione che Giovanni praticava per coloro che lo seguivano e attendevano la salvezza di Dio. Lo spiega bene Paolo, nella sua Lettera ai Romani: «Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,3-4).