Commento al vangelo della domenica, a cura di Davide Varasi, monaco di Bose e di Giulio Michelini ofm (video della trasmissione SullaStrada, TV 2000)
(Gv 20,19-31) La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Ospitiamo il commento di Davide Varasi, monaco di Bose, tratto dal sito SIR, del Servizio Informazione Religiosa della CEI (www.agensir.it)
Il significato del mistero pasquale nel vangelo si dischiude nell’apertura di futuro in una situazione chiusa e disperata: si ricrea una comunità; si ripara e restaura un legame di fiducia. Appare un Dio più aperto al futuro che al computo dei peccati. L’annuncio della resurrezione di Gesù diventa memoria di futuro nelle vite dei discepoli e resurrezione della comunità alla sequela. Non si comprendere la resurrezione al di fuori del processo di rinnovamento dell’umanità nel perdono.
Gesù in mezzo ai suoi dà lo Spirito in vista del perdono. Lo “soffia”. Il verbo (Gn 2,7; 1Re 17,21; Ez 37,9; Sap 15,11) collega il perdono al generare la vita umana e al riportare in vita chi era morto. Perdonare è atto di creazione e di resurrezione. Ove accade il perdono si fa esperienza della presenza del Crocifisso risorto.
Gesù vive quel che dà. Il corpo risorto porta i segni della passione, le ferite infertegli. La morte ingiusta e violenta, il tradimento e il rinnegamento… è un passato che non si cancella. Cristo ne porta i segni per l’eternità. Pasqua non è la promessa di un ritorno alla quiete precedente alla tempesta. Eppure nello sguardo di fede da una vita spezzata, da ferite profonde, può sorgere una vita nuova e inattesa. Gesù non è bloccato dal male che ha subito. La sua memoria non è rimasta pietrificata da ciò. Egli agisce sulle conseguenze possibili del male in lui e negli altri. Su ciò c’è spazio per l’azione. Perdona i discepoli che lo hanno abbandonato. I signa passionis diventano signa amoris.
Il Risorto è un corpo vulnerato e vulnerabile in eterno. Un corpo che si lascia toccare, che non è indifferente. Se Cristo è così, tale è allora il Padre per l’eternità. Chi ricrea la comunità con il dono dello Spirito e la invia a essere agente di perdono e di riconciliazione, resta “feribile” d’amore. In questo spazio la comunità cristiana si colloca. Il grande peccato è il cuore pietrificato, lo spirito inaridito, la mancanza di empatia, la freddezza verso le esistenze, il non lasciarsi toccare e modificare dalla relazione con altri.
Segue l’episodio di Tommaso. Egli non ha fiducia nelle parole degli altri, vuole una prova solo per lui, quasi a distinguersi da loro. Gli altri, però, non lo rifiutano né respingono, lo tengono nel gruppo, conservano una relazione con lui, non lo marginalizzano. Colui che potrebbe essere “giustamente” escluso dal gruppo, in realtà fa esperienza della disponibilità a includere da parte degli altri.
Qual è l’esito? Una formulazione paradossale (Gv 20,29). Dall’incredulità di Tommaso nasce una nuova fede. A noi non è dato di vedere il Cristo e di accedere direttamente al mistero pasquale, ma solo attraverso la relazione con l’altro e nella vita comunitaria. Esse possono darci in frammento esperienze di salvezza, anticipazione della resurrezione finale. Ciò non va da sé. La comunità può smentire il Vangelo, può avere il cuore di pietra. Per questo il tempo di Pasqua vuole immergerci di più in questa realtà per sciogliere le nostre resistenze.
Di seguito il commento di Giulio Michelini ofm che in ogni sabato pomeriggio e domenica mattina conduce nella trasmissione SullaStrada in TV2000