Amare e osservare i suoi comandamenti. Commento al Vangelo della VI domenica di Pasqua (Gv 14,15-21)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui».
Il mantello di Elia
Continua con questa domenica il percorso all’interno dell’ultimo discorso di Gesù secondo il vangelo di Giovanni. Come sappiamo, si tratta di un addio, e anche se viene collocato dall’evangelista poco prima della morte di Gesù, bene si addice a questo tempo che sta per concludersi, il tempo di Pasqua. La Liturgia ci chiede di aprire la mente al mistero di un Dio che ci sta accanto non nel modo in cui forse vorremmo noi, ma secondo modalità inaspettate.
Per noi, con noi, in noi. Il Dio del Primo Testamento è un Dio che si è mostrato principalmente a favore del suo popolo, soprattutto quando l’ha liberato dalla schiavitù e l’ha fatto entrare nella Terra. È il Dio della fedeltà, che interviene “con mano potente e braccio teso” (cfr. Dt 7,19) a favore della sua eredità: è un Dio per noi. Con Gesù il Padre ha mostrato il suo volto misericordioso, nascosto nei secoli e rivelato nel Figlio. Ma in Gesù riconosciuto Signore e Cristo la presenza di Dio è divenuta qualitativamente diversa dal modo in cui il Padre si è sempre rivelato sin dai tempi antichi (cfr. Eb 1,1-2): quel Dio che lottava per la sua gente, ha mandato il Figlio perché stesse con loro, vivesse e morisse per loro. L’Emmanuele è, fino alla morte, il Dio con noi. Il Dono che è lo Spirito dice ancora qualcosa di diverso, ovvero che Dio è in noi. È quanto annuncia il vangelo di oggi: “Voi conoscete (lo Spirito), perché egli dimora presso di voi e sarà in voi” (Gv 14,17). Dio che era “per” e “con”, ha trovato il modo di essere “in” coloro che credono in Gesù.
Il Paraclito. Le sue parole dicono in questa occasione il primo dei cinque annunci del Paraclito (gli altri sono in Gv 14,26; 15,26; 16,7-11; 16,12-15). Il termine Parákletos ricorre solo nella letteratura giovannea (nel Quarto vangelo e in 1Gv 2,1) e significava nel linguaggio del tempo “colui che è chiamato accanto” per dare un aiuto, specialmente in caso giudizio: è una specie di avvocato. Ma qui Gesù parla di “un altro” avvocato: e quindi il primo di cui parla è se stesso. Questo è chiaro se si legge il versetto della Prima lettera di Giovanni in cui ricorre il nostro termine: “Figli miei, queste cose scrivo a voi perché non pecchiate. Ma se qualcuno pecca, un Parákletos abbiamo presso il Padre: Gesù Cristo il giusto” (1Gv 2,1). Anche lo Spirito di Gesù può essere chiamato accanto come Gesù lo è stato con la sua gente (l’Emmanuele), proprio quando Gesù non ci sarà più.
Come potrebbe la Chiesa vivere senza lo Spirito del risorto? Se Gesù non avesse promesso e donato lo Spirito, la comunità dei credenti sarebbe una qualsiasi comunità umana impegnata a conservare la memoria di un avvenimento o di una persona. Anche Mosè aveva lasciato come ricordo al popolo il suo bastone, quello con il quale aveva tracciato una strada attraverso il mar Rosso: aprendo il reliquiario che era l’arca (cfr. Eb 9,4), si poteva ritornare con la mente a quei giorni. Elia aveva lasciato ad Eliseo il suo mantello come consegna di una continuità profetica, e ancora di più, come segno del suo spirito: “Elia disse ad Eliseo: Chiedi ciò che vuoi che faccia per te prima che sia sottratto a te. Eliseo rispose: Passino a me i due terzi del tuo spirito” (2Re 2,9). Il mantello che cade ad Elia quando questi viene assunto in cielo, e che Eliseo raccoglie, dice che la preghiera del discepolo è stata esaudita.
Lo Spirito Santo è come il mantello che copriva il Messia d’Israele, e che è rimasto ai suoi discepoli, noi cristiani. Non lo possiamo conservare così come si conservano i ricordi di una persona scomparsa in un cassetto o le sue fotografie in un album, o così come veniva custodita la verga di Mosè nell’arca. Lo Spirito di Gesù è come il vento che muove la Chiesa e invece di lasciarsi imbrigliare, la scompiglia e la conduce. Questo Spirito è necessario per il nostro vivere.
Come potrebbero il pane e il vino diventare il corpo e il sangue di Cristo, senza il suo Spirito invocato? Come capiremmo le parole di Gesù, e come potremmo metterle in pratica? Chi ci garantirebbe di essere sulla strada giusta duemila anni dopo la nascita dell’esperienza cristiana? L’altro consolatore, lo Spirito Santo, sia continuamente “chiamato accanto” perché non ci perdiamo, e perché ci mostri, anche oggi, il volto vivo del Risorto.