Inaugurata il 17 gennaio 2022, giorno dell’approfondimento del dialogo tra ebrei e cattolici, la mostra “Alberi. The Aleph Beth of Nature”, dell’arch. Marisa Zattini, sarà visitabile nel convento Monteripido di Perugia fino al 20 febbraio.
Un’esposizione molto originale formata da 22 lettere dell’alfabeto ebraico, le stesse con cui è scritta la Bibbia, che l’artista ha impresso col laser su altrettanti cerchi di legno (un tiglio ultrasecolare caduto per calamità naturale) a loro volta incorniciati da cerchi di metallo. “La densità storica del luogo si mescola con la lettura dell’opera esposta”, ha commentato l’autrice nel ringraziare i francescani per l’ospitalità. “Sono voluta andare alle origini, per una sorta di prospezione, per ritrovare le origini del mondo – ha detto Marisa Zattini –. Quindi alfabeto ebraico è un alfabeto speciale. Trovare la Parola di Dio, attraverso il silenzio di queste lettere, mi sembrava estremamente importante. Le lettere non sono state disegnate, ma sono impresse al fuoco con laser”, perché “la Parola di Dio è fuoco”.
Di seguito, un commento dal dépliant dell’installazione
«Dio disse “Sia la luce!”. E la luce fu» (Genesi 1,3). Che il mondo sia stato creato attraverso parole pronunciate dal Creatore, significherà molto non solo per le Scritture ebraiche, ma anche e soprattutto per quelle cristiane.
Ma a chi si rivolge Dio, dicendo «Sia la luce!»? Se nella pratica comunicativa, normalmente, il parlante (o emittente) ha davanti a se un interlocutore (o ricevente), con chi sta parlando Elohim? Secondo una delle tradizioni giudaiche, si sta svolgendo un dialogo tra Dio e la Torah, una delle sette realtà preesistenti al mondo, create da Dio prima di esso. La Torah – consultata a riguardo dell’opportunità della creazione – darà il suo parere positivo, mettendo però in guardia Dio a riguardo del fatto che l’uomo avrebbe presto disobbedito ai suoi precetti. La risposta di Dio è che l’uomo avrebbe potuto sempre fare Teshuvah, cioè pentirsi dei propri errori, e tornare alla sua Santa volontà.
La parola performatrice di Dio, dunque, crea, e la creazione viene affidata alla cura e alla custodia dell’uomo. Che rapporto esiste, però, tra la parola pronunciata da Dio per creare, e la parola scritta, mediante lettere di un alfabeto, come quelle incise in oro sugli anelli degli alberi dell’installazione di Marisa Zattini?
Secondo alcune antiche tradizioni rabbiniche, Dio avrebbe creato mediante le lettere dell’alfabeto ebraico[1], come si legge già nel Sefer Yezirah (Libro della formazione), uno dei testi più antichi della mistica ebraica, scritto probabilmente in Israele tra il VI e il VII secolo d.C. Basterà citare questo breve estratto: «Ventidue lettere: [Dio] le incise, le intagliò, le soppesò, le permutò, le combinò e con esse formò l’anima di tutto il creato e l’anima di tutto ciò che è formato e di tutto ciò che è destinato a essere formato» (Sefer Yezirah 19)[2].
Nelle riflessioni e teologie cristiane, invece, la Parola mediante la quale il Padre ha creato il mondo è il Verbo, generato prima dei secoli e unico mediatore: «Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste» (Giovanni 1,2-3).
Dal monastero di Camaldoli, esposta nel contesto del Colloquio Ebraico Cristiano (3-8 dicembre 2021), ora l’installazione di Marisa Zattini approda a Perugia, nel Convento di San Francesco del Monte (Monteripido). Dal cuore delle foreste casentinesi, impiantate dai monaci, «Alberi. The Aleph Beth of Nature» si trova adesso in una città, ma sempre su un monte, segnato dalla memoria di Francesco d’Assisi e da uno dei suoi primi compagni, il beato Egidio.
Non è casuale che un convento francescano ospiti un’installazione con le ventidue lettere della creazione del mondo incise su ventidue sezioni di alberi caduti naturalmente (e non abbattuti dall’uomo): questi anelli sono una memoria e un invito a ricordare che il mondo, affidato agli uomini, è fragile e deve essere custodito.
Francesco d’Assisi col suo Cantico di frate Sole dice che il mondo è un mezzo per lodare il Creatore («laudato si’ cum – cioè “da” o “per mezzo di” – tucte le tue creature»[3]); e se la creazione mostra i segni del peccato dell’uomo o quelli della forza violenta della natura, le lettere sacre dell’alfabeto ebraico ci ricordano che anche noi possiamo collaborare a restaurare quanto di bello il Signore ci ha lasciato. Come la Torah aveva predetto, l’uomo che disobbedisce al suo Creatore può anche danneggiare la creazione, ma ha la capacità di ravvedersi, e, mediante la Teshuvah, di contribuire a riparare il danno.
È quanto papa Francesco continua a insegnare, con il suo prezioso magistero: «“Custodire” vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare. Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura. Ogni comunità può prendere dalla bontà della terra ciò di cui ha bisogno per la propria sopravvivenza, ma ha anche il dovere di tutelarla e garantire la continuità della sua fertilità per le generazioni future» (Laudato si’, 67).
Giulio Michelini ofm
[1] Per la creazione con le lettere dell’alfabeto, si vedano i ricchi rimandi bibliografici in L. Ginzberg, Le leggende degli ebrei, Adelphi 2019.
[2] Traduzione di G. Busi, da G. Busi – E. Loewenthal, Mistica ebraica. Testi della tradizione segreta del giudaismo dal III al XIII secolo, Einaudi 2006.
[3] C. Paolazzi, «Lode a Dio creatore e Cantico di Frate sole», Antonianum 94 (2019) 769-786.